Un ragazzo su quattro ha avuto problemi di infezioni dopo essersi fatto un piercing o un tatuaggio. Il dato è emerso grazie a una ricerca condotta dall’Università di Tor Vergata su 2.500 studenti liceali coinvolti con un questionario anonimo. Il 24% dei partecipanti ha avuto complicanze infettive. Il 17% ha firmato un consenso informato mentre il 54% si dice sicuro della sterilità degli strumenti che sono stati utilizzati.
«Se l’80% dei ragazzi ha affermato di essere a conoscenza dei rischi d’infezione, solo il 5% è informato correttamente sulle malattie che possono essere trasmesse», ha spiegato Carla Di Stefano, autrice dell’indagine.
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Chi si fa un piercing o un tatuaggio rischia grosso. Utilizzando degli strumenti non correttamente sterilizzati si può contrarre il virus dell’epatite B e C e quello dell’AIDS. Eppure il 27% dei partecipanti alla ricerca ha dichiarato di avere almeno un piercing mentre il 20% sfoggia un tatuaggio. Un altro 20% ha intenzione di farsi un piercing mentre il 32% è pronto a ornare la pelle con un tatuaggio. I rischi di contrarre un virus aumentano quando tatuaggi e piercing vengono fatti da principianti, in strutture con scarse condizioni igieniche e utilizzando strumenti improvvisati, come corde di chitarra, graffette o aghi da cucito, ma anche nelle carceri o in situazioni non regolate come l’ambiente domestico. «Il dato scientificamente più interessante – ha concluso Di Stefano – sta nei tempi di sopravvivenza del virus rilevati negli aghi e nell’inchiostro, variabile da pochi giorni nell’ambiente a quasi un mese nell’anestetico: dato ancor più preoccupante se incrociato con la scelta degli adolescenti verso locali spesso economici e non a norma di legge».