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INTERVISTA ESCLUSIVA. Sandro Mazzola: “Il nostro calcio ha bisogno dei giovani”

Sandro Mazzola-7[dropcap type=”2″]S[/dropcap]fogliando il pantagruelico archivio di immagini che la “rete” conserva, c’è una fotografia, in particolare, che ritrae Sandro Mazzola prima dell’inizio di un incontro. Indossa la maglia dell’Internazionale Football Club, s’intende. Niente creste, niente monili, di tatuaggi nemmeno l’ombra. Ritrae un uomo sereno, fermo, concentrato, con la stella d’oro a brillare sul cuore. Alle sue spalle, tribune e mitici pali del “Romeo Menti” di Vicenza. In poche parole, la Storia del Calcio nei luoghi dove si fa la Storia del Calcio. Sandro Mazzola appartiene fortunatamente ad un’altra epoca; lo diciamo con convinzione. E’, e lo sarà per sempre, monumento di quel periodo, fin troppo citato, dei portieri con i primi guanti, dei palloni a spicchi bianconeri, dei due punti a vittoria. E va bene così. Sandro Mazzola, la sua educazione, il suo talento, la sua classe cristallina dovevano risplendere al tempo giusto, al tempo che fu. Sandro Mazzola è la storia del calcio e la storia non si insegna, si tramanda. Quattro scudetti, due Coppe dei Campioni, altrettante Coppe Intercontinentali, un Campionato d’Europa, cinquecentosessantacinque partite per centosessanta goal, tutto a tinte nerazzurre: bisogna averne, di nipoti, per potergli raccontare tutto. Successi, fama, riconoscenza eterna del popolo bauscia; sempre e solo con una maglia addosso, senza il bisogno, però, di atteggiarsi a capopopolo, ça va san dire.

Mai un’uscita infelice, mai un’offesa alla metà rossonera di Milano, anzi. Lui, che quando esultava era solito saltare con le braccia levate al cielo e il sorriso genuino, se lo sognavano in coppia con “l’Abatino”. Sarebbe stato troppo però; molto meglio, per tutti, uno di qua e uno di là nel derby dei Navigli.

OverPress lo ha intervistato in esclusiva per i propri lettori: uno sguardo su questo nostro calcio, buoni e cattivi, speranze e delusioni. Ecco cosa ci ha detto.

Sandro Mazzola

Mazzola, partiamo da ciò che più conosce: l’Inter e il suo ambiente, la sua stagione a dir poco fallimentare. Risultati scadenti, giocatori flop, addirittura si parla di un ritorno (seccamente smentito dall’interessato) di Moratti quale proprietario. Che sta succedendo ad Appiano Gentile?

“Succede che si è sbagliato il progetto e la sua attuazione. Ciclicamente tutte le società vivono momenti di difficoltà, economica in primis. Bisogna dunque saper “inventare”, trovare soluzioni alternative, muoversi per tempo in un mercato che lascia poco spazio a chi tentenna. La società, in verità, ci prova: aver convinto Mancini ad assumere la guida tecnica è un ottimo colpo, non scopro io le qualità del tecnico nerazzurro. Però non basta: va detto con chiarezza che la rosa a disposizione non è all’altezza degli obiettivi che ci si è prefissi. A questo si aggiunga che la mobilità della società sul mercato è sempre più frenata dalle probabili future strettoie imposte dal fair play finanziario: se si tirano le somme, il risultato è presto e fatto”.

Scoperto da Meazza nel settore giovanile, Sandro Mazzola giocò inizialmente come centravanti e quindi come mezzala offensiva nell’Inter di Herrera

Sandro Mazzola-12Se Atene piange, Sparta non ride. E il Milan? Al netto dell’ultimo successo in trasferta, qual è la ragione della crisi dei rossoneri?

“Anche qui, secondo la mia opinione, il problema si è creato nel non aver capito che le squadre, le rose, i gruppi in generale sono transitori, e che bisogna avere coraggio e occhio lungo per poterne leggerne sviluppi e crisi. Scegliere poi soluzioni complicate, avventurose, non comprovate dalla realtà dei fatti, non può non portare che a risultati modesti. Basta, ora però non mi faccia più parlare del Milan…(ride divertito, ndr).

Allarghiamo l’orizzonte, parliamo di Nazionale. Le piace Conte e il suo modo di allenare gli azzurri quasi come fossero un club? Anche la gestione della vicenda degli oriundi tradisce una ferma volontà del tecnico pugliese. Che ne dice?

“Dico che a me Conte piace parecchio: preparato, serio, determinato, sa quello che vuole dai suoi giocatori e sa come ottenerlo. Passare dalla vita di club, dallo spogliatoio della domenica, dalla quotidianità del campionato, ad una differente gestione di un gruppo non è semplice. Lui ci sta riuscendo molto bene: oltre ai risultati, ha portato aria nuova, nuove ambizioni, rappresentate anche dall’innesto caparbio degli oriundi.
Lasciamolo fare; l’Italia non può che giovarsi del suo operato”.

E se la Nazionale migliora il nostro calcio, anche a livello di club ne trarremo beneficio. Come vede le squadre europee impegnate nelle competizioni europee? Prospettive di finale, per le nostre compagini?

“Sono molto curioso di vedere come proseguirà il cammino delle nostre squadre, sia in Europa League che in Champions. Credo che questo prossimo turno sia alla portata di tutte le nostre formazioni; sia in Europa League che nel massimo torneo internazionale. Dal successivo passaggio, si comincerà davvero a fare sul serio”.

Nel 1971 arrivò al secondo posto nella classifica del Pallone d’oro, dietro l’olandese Johan Cruijff.

Torniamo in Italia, un commento al momento della squadra più in forma del torneo: la Lazio di Stefano Pioli.

[quote_box_left]Pioli, un allenatore italiano che si è fatto tutta la gavetta e adesso raccoglie frutti.[/quote_box_left] “Mi piace tantissimo e mi fa davvero divertire. Vedo corsa, sacrificio, unità di intenti e volontà di arrivare ad un obiettivo comune. Il minimo che questo gruppo possa fare è raggiungere è l’Europa, ora vedremo in quale delle due competizioni continentali. Troppo facile parlare di Felipe Anderson, ma va detto che fa davvero piacere vederlo giocare, dribblare, puntare l’avversario. Poi, come non parlare di Pioli, un allenatore italiano che si è fatto tutta la gavetta e adesso raccoglie frutti. Bravi, davvero”.

Infine, uno sguardo a questo nostro sconsolato calcio fatto di accuse infami e gratuite, telefonate proibite, battute infelici. Come se ne esce, ammesso che si possa uscirne?

“Ripartire dai giovani, dalle scuole, insegnando ai ragazzi che il calcio è una cosa bella, che unisce e che fa crescere. Dire basta a questa cultura che premia solo l’arrivismo, la bramosia di soldi e del facile successo. Io ho giocato a pallone, dunque parlo con cognizione di causa. Bisogna tornare dai piccoli con la reale volontà di far finalmente passare un nuovo messaggio. Vede, noi siamo qui a parlare, a cercare una soluzione, ma poi non possiamo intervenire, non abbiamo capacità di incidere sulla realtà come le ha invece chi è deputato a migliorare questo sport. Noi possiamo solo metterci la nostra passione. E sperare che il vento cambi, anche se intanto conviene coprirsi”.

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