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Stanford: i Google Glass usati per curare l’autismo

Che gli occhiali di Google fossero versatili si sapeva, ma Catalin Voss, Nick Haber e il loro team di ricercatori all’Università di Stanford li hanno usati addirittura per curare l’autismo. I Google Glass sono diventati, nelle mani degli scienziati, uno strumento che consente ai bambini autistici di imparare a riconoscere e classificare le emozioni. Questo perché la sindrome da autismo comporta nel soggetto una marcata diminuzione dell’integrazione socio-relazionale e della comunicazione con gli altri ed un parallelo ritiro interiore.

Si chiama Autism Glass Project, ed è appunto il programma messo a punto dai ricercatori di Stanford, con il contributo di Google e Packard Foundation, per sperimentare i Google Glass nella cura all’autismo. La logica su cui si basa è semplice quanto efficace: i Google Glass usano una tecnologia di riconoscimento facciale per “captare” alcuni movimenti singolari del visto, o “action units”, che sono tipici di una determinata emozione, permettendo di identificarla. Per esempio il classico sorriso viene tradotto dai Glass al bambino in felicità. Così il bambino, costretto da questa grave patologia a non sapere come interagire, può ritrovare la gioia di comunicare con gli altri.

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L’Autism Glass Project è ancora alla fase sperimentale, e ancora ci vorrà uno studio su cento bambini per verificare la fattibilità di quest’idea, ma i risultati danno già molta speranza. Infatti, grazie a un’osservazione matematica dei bambini autistici mentre -indossando i Glass- dovevano cercare un’emozione specifica nel volto degli altri, il team è in grado di capire i miglioramenti nel riconoscimento delle emozioni durante il tempo.

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Nella prima fase di sperimentazione del progetto ai bambini è stato chiesto di indossare i Glass durante tre sessioni da 20 minuti al giorno e, ora, nella seconda fase, le registrazioni saranno valutate per capire il rapporto tra riconoscimento emotivo e contatto visivo. Ad esempio valutando per quanto tempo il bambino guarda la madre mentre le parla.

Il principio che muove l’Autism Glass Project, comunque, non è quello di rendere i Google Glass una sorta di protesi, che vincolerebbe il paziente al suo utilizzo, ma di consentire un vero e proprio processo di apprendimento nel malato di autismo, in modo che questo abbia un miglioramento visibile anche una volta rimossi gli occhiali.

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