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Racconto anonimo dell’attacco hacker a Sony Pictures

La Sony Pictures nei giorni scorsi è stata vittima di un attacco hacker del gruppo “Guardians of Peace” (#GOP) che gli ha provocato con un danno di oltre 100 milioni di dollari. Tra la mole delle informazioni trafugate e le accuse alla Corea del Nord ora c’è spazio anche per il racconto di chi l’evento l’ha vissuto sulla propria pelle. La rivista Fortune ha infatti intervistato un dipendente Sony, rimasto anonimo per ragioni di sicurezza, che ha voluto rendere nota al mondo la sua esperienza di quella tragica giornata tra paura per i dati personali e delusione nei confronti della società.

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Stando al suo racconto il tutto sarebbe iniziato una settimana prima dell’attacco, un normale lunedì prima del Ringraziamento, alle 8:15 improvvisamente i computer smisero di funzionare e l’intera rete aziendale andò in tilt. Nessuno dette molto peso alla cosa data l’aria di festa in una settimana parzialmente lavorativa in vista del consueto ponte del “Ringraziamento” in America. Tuttavia era solo il preludio del disastro che, di li ad una settimana, si sarebbe abbattuto sulla Sony Pictures portando il nome degli hackers di “Guardians of Peace”.

Il lunedì successivo, 1 dicembre, gli operai che tornavano a lavoro dopo la festa del “Ringraziamento” trovarono ad accoglierli un’amara sorpresa: la Sony Pictures è nelle mire di un’attacco hacker e a tutti fu consigliato di cambiare le password di qualsiasi account usato tramite i PC della società per non veder pubblicate online informazioni personali o rubati i codici bancari. Ci sarebbero volute settimane per ripristinare tutte le funzionalità della rete, e per questo la Sony temeva il peggio. Il caos e la paura ovviamente di diffusero fra i dipendenti e fu un vero e proprio ritorno all’età della pietra come racconta l’anonimo dipendente:

“Pochi giorni dopo, usavamo PC prestati, penna e foglio, ricreando PowerPoint e database. Tutte le cose di cui hai bisogno lavorando su qualcosa. Documenti Word, contratti, PDF. Abbiamo fatto tutto ciò che potevamo. Ma c’erano giorni in cui le persone dovevano andare via per fare ciò che dovevano fare personalmente.”

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Una situazione critica e per niente semplice, oltretutto malgestita da una dirigenza latitante (compreso proprio il CEO Michael Lynton), e dove le uniche forme di aggiornamento sulla situazione dell’attacco provenivano dai vari blog. In questo scenario caotico, l’anonimo impiegato intervistato da Fortune, non manca di frustrazione:

“Non voglio che sul mio conto ci sia un addebito casuale di 500 dollari. Ho deciso che non accederò mai più a nessun account finanziario dal mio PC di lavoro. […] C’è la frustrazione per il modo in cui i vertici hanno gestito la situazione. Perché non hanno dato di più agli impiegati? Perché non hanno coinvolto consulenti in sicurezza? Ti ritrovi a leggere tutti questi report che parlano di morale basso. Non direi che lo sia. Ti trascini avanti. Ma è come doversi guardare costantemente le spalle. Per sempre.”

Una storia che lascia aperti molti interrogativi, dite la vostra nei commenti qui sotto.

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