Depositate presso la cancelleria della Corte d’Assise di Palermo le trascrizioni della testimonianza del Presidente della Repubblica. Giorgio Napolitano risponde al P.M. Di Matteo e agli avvocati in merito alla presunta trattativa stato-mafia che sarebbe stata avviata a seguito e ad argine della campagna stragista portata avanti da Cosa Nostra nei primi anni ’90. Tre ore di domande e risposte rese pubbliche integralmente sul sito del Quirinale per assicurare la massima trasparenza possibile nei confronti di cittadini e pubblica opinione, come anticipato dal Colle stesso in una nota post-audizione.
86 pagine di deposizioni del Capo dello Stato sui retroscena del periodo più buio della Repubblica, rilasciate senza ricorrere ad alcuna prerogativa di riservatezza. Lo Stato fu ricattato da Cosa Nostra: la certezza emerge dalle parole di Napolitano sulle stragi mafiose che “si susseguirono secondo una logica unica e incalzante per mettere i pubblici poteri di fronte a degli aut aut, perché potessero avere per sbocco una richiesta di alleggerimento delle misure di custodia in carcere dei mafiosi”.
Di Matteo chiede: “Quindi lei ha detto che si ipotizzò subito la matrice unitaria e la riconducibilità ad una sorta di aut-aut, di ricatto della mafia, ho capito bene?”. Napolitano risponde: “Ricatto o addirittura pressione a scopo destabilizzante di tutto il sistema”.
Sui dubbi della politica, ed in merito al dibattito che ci sarebbe stato circa la conversione del decreto sul 41 bis, Napolitano afferma: “Non credo che nessuno, allora, pensò che in una situazione così drammatica si potesse lasciare decadere il decreto alla scadenza dei 60 giorni, per poi rinnovarlo“; anzi “ci fu la convinzione che si dovesse assolutamente dare questo segno all’avversario, al nemico mafioso”, aggiunge l’inquilino del Quirinale. “Sono convinto che la tragedia di via D’Amelio rappresentò un colpo di acceleratore decisivo per la conversione del decreto legge 8 giugno ’92 sul carcere duro”, continua il Presidente. Napolitano riferisce infine sulle possibili aspettative di Cosa Nostra, che agiva “probabilmente presumendo che ci fossero reazioni di sbandamento delle Autorità dello Stato”.
Nella deposizione non viene tralasciata una valutazioine sugli equilibri interni a Cosa Nostra, anche a critica della pubblicistica dell’epoca, che si prodigava in molteplici analisi: “C’era molto probabilmente una spaccatura, ma questo lo si capiva senza bisogno di essere politologi, scienziati della politica o sapienti giuristi come Conso». Il Presidente riferisce poi di un’ informativa circa l’organizzazione, da parte della Mafia, di un attentato nei suoi confronti. Espone lo stato d’animo di quei momenti, Napolitano, quasi a voler restituire ed esorcizzare la tensione degli eventi ormai passati, e non solo. “Non mi scomposi minimamente, anche perché ho sempre considerato che servire il Paese significa anche mettere a rischio ipotesi di sacrificio della propria vita e guai a farsi condizionare da reazioni di timore o di allarme personali», chiosa la prima carica dello Stato.