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Motivazione 2 parte: la motivazione all’attaccamento

Come spiegato nell’articolo precedente, la motivazione definisce una spinta interna all’individuo a compiere determinate azioni per ottenere certi risultati o scopi. L’ipotesi di Bowlby, circa l’esistenza di una motivazione primaria all’attaccamento indipendente dalla nutrizione e dal rifornimento di cibo, venne confermata dagli studi condotti da Harlow con dei piccoli di scimmia di una specie molto simile all’uomo, rimasti orfani delle loro madri naturali.

Per effettuare l’esperimento, questi piccoli, furono posti in delle stanze con due madri artificiali, una di fil di ferro e dispensatrice di latte attraverso un biberon, l’altra, con il ferro ricoperto da una morbida coperta oppure un asciugamano in spugna che simulavano la morbidezza ed il calore di un corpo materno ma senza biberon che potesse fornirli di cibo. 

In alcuni momenti, questi piccoli di scimmia,  per comprendere verso quale delle due mari avrebbero cercato rifugio, vennero esposti a degli stimoli improvvisi che li spaventavano, ad  esempio, forti rumori. Quando accadeva ciò, i piccoli correvano sempre a rifugiarsi e ad abbracciare la madre fittizia ricoperta dall’asciugamano che dava loro, oltre ad essere morbida come il corpo materno, un senso di calore e di protezione, nonostante si trattasse della madre fittizia che non aveva mai offerto loro del latte in quanto priva, a differenza dell’altra, fatta solo di fil di ferro, di biberon.

Ciò fu quindi, data la similarità di questi piccoli con i cuccioli di uomo, una ulteriore conferma dell’esistenza di una motivazione primaria all’attaccamento indipendente dal bisogno di cibo ma legata piuttosto ad altri bisogni quali il bisogno di amore, vicinanza, conforto e protezione. La presenza di questa motivazione fu poi ulteriormente confermata da Bowlby attraverso i suoi studi condotti sulla deprivazione affettiva cui venivano sottoposti i bambini che per cause di malattie proprie o delle loro madri venivano separati da queste e ricoverati in degli ospedali o degli orfanotrofi.

Questi studi dimostrarono, attraverso l’osservazione prolungata dei bambini che gli effetti della separazione dalla loro madre,  variavano in dipendenza del fatto che il loro precedente rapporto come coppia “madre/figlio”, era stato armonioso e gratificante oppure già compromesso fin dall’inizio per problemi della madre. In generale, i bambini reagivano a queste separazioni nel modo seguente:

  • un periodo di protesta;
  • i richiami disperati;
  • mostrandosi poi apatici e silenziosi e smettendo di mangiare;
  • regredendo nel controllo delle funzioni sfinteriche;
  • diventando indifferenti ai sorrisi ed alle cure che venivano loro rivolti dal personale, diventando sempre più tristi fino  a stare sdraiati in uno stato quasi di stupor o apparente ebetismo.

Tuttavia, quei bambini che fino ai 6/9 mesi avevano avuto un rapporto armonico con la madre, quando si riunivano con essa, recuperavano molto più facilmente tornando ad uno stato di normalità, mentre quelli che già avevano avuto un rapporto disarmonico con la madre dalla quale non avevano ricevuto delle buone cure, da una parte non sviluppavano al momento della separazione questa sindrome ma dall’altra, riportavano spesso  delle conseguenze più nefaste nel tempo, conseguenze che spesso rimanevano latenti per un lungo periodo – ad esempio fino all’ingresso a scuola – e che potevano manifestarsi con:

  • problemi nell’acquisizione del linguaggio;
  • problemi nella capacità di astrazione del pensiero;
  • problemi nella capacità di adattarsi a seguire delle regole e norme di comportamenti sociali adeguati al loro contesto, anche per via di carenti capacità meta cognitive.

Molto spesso infatti, questi bambini diventavano poi degli adolescenti problematici ed avevano problemi con la giustizia, finendo in riformatori o in classi speciali. A causa del mancato stabilirsi di un adeguato legame di attaccamento essi avevano infatti difficoltà nei seguenti campi

  • ad orientare i propri comportamenti e ad integrare le proprie emozioni con i propri pensieri;
  • nella effettiva comprensione delle conseguenze delle loro azioni.

Nei termini della Teoria dell’Attaccamento di Bowlby, questi ragazzi avevano sviluppato generalmente, un attaccamento disorganizzato – disorientato, essendo stati privi di una base sicura da cui muoversi per esplorare il mondo ed a cui tornare in caso di pericoli e di paura per cercare protezione non avendo potuto stabilire un adeguato ed armonioso legame di attaccamento con le proprie madri fin dalla nascita.

Per concludere quindi un’adeguata evoluzione di questa motivazione è fondamentale per lo sviluppo della personalità.

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