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ITALIA ’90, le “Notti Magiche” dell’ultima Germania Mondiale

Sono passati ormai ventiquattro anni da quelle “notti magiche” di Italia 90: notti che hanno acceso come mai prima l’entusiasmo del popolo azzurro, ma che hanno consacrato la Germania sul trono mondiale, per la terza volta nella storia. I panzer erano arrivati nella penisola come una delle ovvie favorite, insieme soprattutto ai padroni di casa e al Brasile, ma la situazione interna, come peraltro quest’anno, non era delle più rosee: Matthäus e compagni si erano qualificati solo nell’ultima partita del girone eliminatorio, grazie ad un risicato pareggio con il Galles, e l’allenatore Beckenbauer, che aveva alzato la coppa da capitano sedici anni prima, aveva già manifestato l’intenzione di lasciare la panchina dopo il mondiale, indipendentemente dal risultato raggiunto.

Nonostante le vicissitudini interne però, la formazione teutonica appariva comunque tra le nazionali più solide e dotate di maggior talento: merito anche delle intuizioni del “kaiser”, capace di amalgamare al meglio un gruppo pieno di esperienza, ma anche di giovani emergenti; come spesso era accaduto, e come capita ancora oggi, era il blocco Bayern a farla da padrone, soprattutto in difesa: Augenthaler, Reuter e Kohler pressoché inamovibili nel reparto arretrato, con Thon e Pflüegler valide alternative a centrocampo; ad affiancare i bavaresi, una folta schiera di giocatori militanti nella serie A italiana, al tempo il campionato più ambito da tutti i calciatori: Brehme e Berhold infaticabili terzini, ma soprattutto capitan Matthäus, perno anche del centrocampo interista, e la coppia d’attacco Völler-Klinsmann, sfidanti a suon di gol anche nel nostro campionato, con le maglie di Roma e Inter. A completare la formazione tipo erano poi il giovane portiere del Colonia Illgner, preferito in extremis a Aumann, il compagno di club Haessler, vero astro nascente del calcio tedesco, e Bein, prezioso jolly dell’Eintracht Francoforte.

Il girone D, quello in cui erano stati inseriti i tedeschi, era apparso da subito come una formalità per gli uomini di Beckenbauer, a maggior ragione se si pensa che il regolamento prevedeva il ripescaggio di ben quattro delle sei squadre terze classificate per gli ottavi. L’esordio a San Siro del 10 giugno contro la Jugoslavia aveva confermato i pronostici della vigilia: un 4-1 secco e senza attenuanti, con i panzer in gol con la coppia Völler-Klinsmann e con una doppietta di capitan Matthäus; cinque giorni più tardi, sempre a Milano, era arrivata la seconda goleada consecutiva contro la cenerentola Emirati Arabi, sconfitta grazie alla doppietta di Völler e ai centri di Matthäus, Bein e Klinsmann, ancora a segno nel suo stadio; opzionata la qualificazione, l’ultima partita si presentava importante solo per la Colombia, alla ricerca del punto qualificazione: il botta e risposta Littbarski-Rincon nel finale permetteva ai “cafeteros” di qualificarsi, e agli uomini del “kaiser” di chiudere in testa il girone, guadagnandosi sulla carta un avversario più abbordabile per gli ottavi di finale. Avversario che però si rivelava essere l’Olanda, in seria difficoltà nel proprio girone, ma pur sempre campione europeo in carica, e che tra le sue file poteva vantare Marco Van Basten, probabilmente il centravanti più forte del mondo; i tulipani confermavano però la scarsa condizione mostrata nelle eliminatorie, e il rigore di Koeman nel finale serviva soltanto ad accorciare le distanze dai tedeschi, qualificati grazie ai gol degli interisti Brehme e Klinsmann. Il quarto di finale con la Cecoslovacchia, giustiziere del Costarica nel turno precedente, confermava l’ascesa dei panzer, capaci di imporsi con il minimo scarto grazie ad un rigore di capitan Matthäus, a segno per la quarta volta nel torneo; l’accesso alla semifinale contro l’Inghilterra metteva di fronte due rivalità storiche del calcio mondiale e non solo, con la nazionale di sua maestà che aveva sconfitto solo ai supplementari, e non senza polemiche, la grande sorpresa Camerun. Al Delle Alpi di Torino andava in scena un match roccioso ed equilibrato tra due superpotenze, e i rigori, dopo che l’autorete di Parker e il gol di Lineker nel finale avevano fissato il punteggio sull’1-1, si erano presentati come il giusto epilogo: dagli undici metri i teutonici si erano dimostrati infallibili, e l’errore di Waddle aveva scatenato la festa di un popolo intero, di nuovo in finale dopo l’amaro epilogo di quattro anni prima a Città del Messico.

La finale dell’Olimpico rappresentava il remake dell’Azteca, con ancora una volta Maradona e l’Argentina a porsi tra la Germania e la coppa; ma questa volta l’epilogo cambiava, con i panzer a trionfare: dopo una partita brutta e poco emozionante, l’arbitro messicano Mendez assegnava a pochi minuti dal termine un contestato rigore ai tedeschi; le proteste dei sudamericani si protraevano per alcuni minuti, ma alla fine Brehme (e non misteriosamente Matthäus) si presentava sul dischetto e metteva il timbro decisivo per la vittoria. Al fischio finale esplodeva la gioia dei campioni, nuovamente sul trono del mondo. Un trionfo meritato ma non così inaspettato, per una grande squadra; una nazionale che, ventiquattro anni dopo, si presenta ancora tra le favorite al titolo, pronta a tutto pur di alzare al cielo per la quarta volta la Coppa del Mondo.

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