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L’evoluzione è in trappola

Sull’isola caraibica di Saint Kitts una colonia di cercopitechi, le scimmie verdi, pattuglia la spiaggia per avventarsi sui cocktail avanzati. Appena ne individuano uno saltano sulla spiaggia per rubarlo: lottano, bevono e rovesciano tavoli. Infine, al tramonto si accasciano goffamente sulla sabbia. Gli scienziati osservano le scimmie ubriache di Saint Kitts da decenni per studiare i meccanismi neurali coinvolti nell’alcolismo. Ma questi animali non sono solo un modello della dipendenza nei primati, secondo il biologo Bruce Robertson, del Bard college di New York, le scimmie sono finite in una “trappola evolutiva“. La loro passione per l’alcol ha una spiegazione semplice: si sono evolute sviluppando il bisogno di alimenti molto energetici, ma visto che oggi è più facile trovare una Piña Colada che una banana, questo è diventato una debolezza, che permette un’evoluzione completamente sbagliata. E’ un comportamento scorretto, dovuto dal fatto che abbiamo cambiato l’ambiente troppo in fretta e l’evoluzione non si è adeguata.

Le trappole evolutive, chiamate anche trappole ecologiche, si trovano ovunque. Sono state scoperte in ogni tipo di habitat e interessano mammiferi, uccelli, rettili, anfibi, pesci e insetti: le scelte sbagliate sembrano buone e gli animali sono attratti in un vicolo cieco evolutivo. In questo nuovo mondo, un bupreste gigante maschio atterra su una bottiglia di birra e cerca di usarla per accoppiarsi. Le proprietà riflessive del vetro color ambra lo hanno ingannato, facendogli credere che la bottiglia sia una femmina della sua specie. Una raganella cubana ingoia una lucina in un cortile della Florida, comportandosi come se la lucina fosse un insetto gustoso. In mare, albatros e tartarughe scambiano per cibo i pezzetti di plastica colorata e muoiono, piene ma affamate. Le tartarughe, appena uscite dal guscio, scambiano le luci degli alberghi sulla spiaggia per l’orizzonte e si allontanano dal mare strisciando verso località affollate, dove muoiono. Le rane dalle zampe rosse della California scambiano per femmine i piccoli di un’altra specie invasiva di rane e li avvinghiano per ore in un abbraccio inutile.

In un’analisi recente, Robertson ha individuato quaranta tipi di trappole evolutive , alcune delle quali riguardano centinaia di specie. Le trappole possono essere create da attività umane di ogni tipo, tra cui l’agricoltura, il restauro ecologico, l’edilizia e l’inquinamento. La trappola peggiore è l’introduzione di specie invasive. Perfino quando cerchiamo di fare una buona azione, possiamo inavvertitamente provocare una trappola evolutiva. In Israele, per proteggere una popolazione di salamandre in via di estinzione, gli esperti di conservazione hanno cominciato a piantare alberi, trasformando un deserto in una zona umida. “Prima non esistevano alberi”, racconta Robertson, “li hanno introdotti con un progetto di rivegetazione, e questo ha attirato un uccello predatore”. La foresta ha fornito ospitalità alle affamate averle grigie meridionali, convertendo un habitat ideale per le salamandre in una trappola mortale. Potete immaginare cos’è successo alle salamandre.

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Il concetto di trappola mortale fu avanzato per la prima volta all’inizio degli anni, ma non suscitò molto interesse. In uno studio del 2006, Robertson non trovò molti esempi pubblicati e stabilì che le trappole erano rare, difficili da scoprire o entrambe le cose. Così ha messo a punto una serie di strumenti per individuarle. “Il modo più rapido per distruggere una popolazione è imprigionarla in una trappola evolutiva”, afferma Robertson. Se la deforestazione cancella mezza foresta pluviale, vi aspettereste che si perda la metà degli animali. E invece molte specie di mammiferi, volatili e insetti, sono attirate dagli habitat marginali ai bordi delle foreste. Altre trovano abbondanti risorse di cibo nelle zone umide dove gli alberi sono stati abbattuti. Questi habitat, però, sono delle trappole: possono offrire dei vantaggi sotto il profilo alimentare, ma espongono gli animali ai predatori e ad alti rischi, come le strade. Se le specie rimanenti migrano e si trasferiscono intorno alle zone deforestate, ne spariranno molte di più della metà.

Una delle trappole peggiori colpisce gli insetti acquatici come i tricotteri e le efemere. Per molte specie d’insetti, una delle decisioni più importanti è dove deporre le uova. Nel caso degli insetti acquatici, questo significa l’acqua. “Quando la luce si riflette sull’acqua viene polarizzata”, spiega Robertson. “Questa luce polarizzata era così associata all’acqua che molti organismi hanno sviluppato occhi in grado di vederla”. E’ così che gli insetti acquatici individuano gli habitat adatti alla deposizione delle uova. Ma c’è un problema: i paesaggi moderni sono pieni di superfici artificiali, che polarizzano la luce proprio come l’acqua. “Gli insetti acquatici depongono le uova sui palazzi e sui pannelli solari, sull’asfalto e sulle macchine, credendo di trovarsi sull’acqua”, dice Robertson. “Preferiscono deporre le uova sulle automobili che su un lago vicino , anche se riescono a vederlo”. Le uova deposte su questi oggetti, però, non si schiuderanno mai.

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Come i cercopitechi e gli insetti acquatici, anche l’essere umano è rimasto impigliato nelle trappole evolutive che ha creato. “Per gli esseri umani la trappola più probabile, o la più discussa, potrebbe essere il fast food”, dice il biologo. Ma ce ne sono molte altre: la pornografia, il gioco d’azzardo e le droghe. Questi fenomeni hanno dirottato comportamenti che si erano evoluti per favorire la sopravvivenza. In linea di principio è facile eliminare certe trappole: “Le cose che polarizzano la luce sono nere e levigate”, spiega Robertson, “quindi se vivete in uno stabile dove i tricotteri depongono le uova potete mettere delle tende bianche, o potete costruire una casa con materiali più chiari. Se c’è una strada d’asfalto dove le libellule depongono le uova si può aggiungere della ghiaia in modo che il fondo diventi meno uniforme. Sono rimedi semplici”.

Ma a volte l’intenzione non è correggere una trappola, anzi, secondo Robertson è possibile crearne apposta: lui le chiama trappole evolutive virtuose. Ogni anno nei paesi in via di sviluppo centinaia di milioni di persone contraggono la malaria perché sono infettate da zanzare che con una puntura trasmettono protozoi parassiti. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, nel 2012 in tutto il mondo, si sono registrati 207 milioni di casi di malaria che hanno provocato 627mila vittime. Una trappola evolutiva creata ad hoc potrebbe cambiare questi dati, riducendo drasticamente il numero di infezioni? Si possono allontanare le zanzare dalle persone esposte a rischio di contrarre la malattia? Se miliardi di efemere sono costrette a deporre le uova sulle automobili, forse si possono ingannare anche le zanzare. “E’ un’idea fantastica, anche se non è facile capire qual’è il modo migliore per realizzarla”, dice Robertson.

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Ken Pienta sta pensando a qualcosa di simile, ma su scala minore. Pienta lavora come oncologo alla Johns Hopkins university school of medicine di Baltimora, nel Maryland, e vuole creare una trappola per catturare le cellule tumorali metastatiche. “Il mio laboratorio sta cercando di studiare il cancro come ecosistema e di sviluppare quelle che abbiamo chiamato ecoterapie”, spiega. Un ecosistema non è solo una zona umida, potrebbe anche essere una persona con un tumore con metastasi. Proprio come le rane dalle zampe rosse della California che vogliono accoppiarsi con la specie di rane sbagliata, non si potrebbe ingannare le cellule tumorali per spingerle a seguire un comportamento altrettanto inutile? Pienta crede di si. In futuro i medici potrebbero impiantare in un malato di cancro un dispositivo pieno di chemochine, proteine che attirano le cellule tumorali, per impedire che le metastasi attacchino altri tessuti, oppure porteranno il tumore in un posto del corpo in cui potrà essere tolto con facilità.

“Può sembrare fantascienza, ma molte persone stanno già lavorando a serbatoi che si possono introdurre in una vena”, continua Pienta. “Si potrebbe progettare un filtro da posizionare nel flusso sanguigno per attirare le cellule tumorali e poi toglierle da questa trappola ogni due giorni”. Secondo Robertson, il lavoro più difficile è appena cominciato: “Pensaci un attimo”, dice, “abbiamo ogni genere di specie invasive che bisognerebbe ridurre. Nulla potrebbe funzionare meglio di apposite trappole evolutive in grado di controllare o sradicare queste specie nocive. Una catastrofe può essere trasformata in un’opportunità”.

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