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La fine dell’infinito

Infinito. È un concetto che sfida la più artistica immaginazione. Abbiamo già le nostre difficoltà a comprendere le cose estremamente grandi come i sistemi solari, le galassie, l’universo osservabile. Ma queste grandezze non sono nulla rispetto all’infinito. Il solo pensiero ci fa girare la testa. Eppure non possiamo farne a meno. La nostra matematica è piena di infiniti. La retta dei numeri reali si estende illimitatamente ed è divisibile all’infinito: tra qualsiasi coppia di numeri c’è un numero infinito di numeri. Nella geometria, nella trigonometria e nell’analisi, le manipolazioni matematiche di cui ci serviamo per spiegare il mondo si basano sull’idea che alcune cose non abbiano una fine. Il guaio è che, una volta sguinzagliati, questi infiniti sono difficili da tenere a bada. Fanno saltare le equazioni con cui i fisici tentano di spiegare i fondamenti della natura. Impediscono una visuale organica delle forze che danno forma all’universo, ma soprattutto, se si aggiunge l’infinito alla miscela esplosiva da cui è nato l’universo, diventa impossibile fare qualsiasi previsione scientifica. Tutto questo ha insinuato un dubbio nella mente di alcuni fisici e matematici: si può fare a meno dell’infinito?

L’idea che qualcosa possa non finire mai non è accettata da sempre. “Per gran parte della storia della matematica l’infinito è stato tenuto a debita distanza”, spiega Norman Wildberger, matematico dell’università del New South Wales, a Sydney, in Australia. Per i grandi della materia, da Aristotele a Newton, l’unico infinito era un infinito ‘potenziale’. Questo tipo di infinito è quello che permette di sommare 1 a qualunque numero senza mai arrivare alla fine della retta numerica, ma in realtà è irraggiungibile. Cosa ben diversa è l’infinitoreale‘, già raggiunto e opportunamente confezionato come entità matematica manipolabile nelle equazioni. Le cose sono cambiate alla fine dell’ottocento, quando il matematico tedesco, Georg Cantor, inventò la teoria degli insiemi, il fulcro della moderna teoria dei numeri. Secondo Cantor, gli insiemi contenenti un numero infinito di elementi erano essi stessi oggetti matematici. Grazie a questa intuizione fu possibile dare una definizione del significato dei numeri.

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All’interno della teoria degli insiemi, la retta dei numeri reali, composta da tutti i numeri razionali (quelli come ½, che possono essere espressi come rapporto di numeri interi) e irrazionali (quelli per cui invece non è possibile, come pi greco), era trattata come un infinito reale e non potenziale. “Nessuno ci caccerà dal paradiso creato da Cantor”, dichiarò in seguito il matematico David Hilbert. Per i fisici, tuttavia, questo paradiso infinito è diventato più simile a un purgatorio. Per esempio, il modello standard della fisica delle particelle è stato a lungo vittima della patologia degli infiniti, a cominciare dall’elettrodinamica quantistica, la teoria quantistica della forza elettromagnetica: inizialmente, la massa e la carica di un elettrone risultavano infinite. Decenni di lavoro, premiati con vari Nobel, hanno messo al bando questi infiniti senza senso, o almeno una gran parte. Come è noto, la gravità è riuscita a resistere all’uniicazione con le altre forze della natura all’interno del modello standard, perché apparentemente immune a tutti i trucchi inventati dai fisici per neutralizzare gli effetti dell’infinito. In circostanze estreme, per esempio al centro di un buco nero, le equazioni della relatività generale di Einstein, che descrivono il funzionamento della gravità, non si applicano: la materia diventa infinitamente densa e calda e lo spazio-tempo infinitamente distorto.

Ma è con il big bang che l’infinito ha provocato più danni. Secondo la teoria dell’inflazione cosmica, nella prima frazione di secondo della sua esistenza l’universo ha attraversato una fase di espansione estremamente rapida. La teoria spiega i tratti essenziali dell’universo, come l’esistenza di stelle e galassie. La particolarità dell’inflazione è che non può essere fermata: continua a espandere pezzi dello spazio-tempo molto dopo la stabilizzazione del nostro universo, creando un ‘multiverso‘ infinito in un lusso eterno di big bang. In un multiverso infinito tutto quello che può succedere può succedere un numero infinito di volte. Una cosmologia del genere è in grado di prevedere qualsiasi cosa. Cioè, in definitiva, niente. Questo pasticcio è noto come “problema della misura”: la maggioranza dei cosmologi ritiene infatti che si possa risolvere con la giusta ‘misura di probabilità‘, che ci dice con che probabilità ci ritroveremo in una particolare tipologia di universo, restituendoci così i nostri poteri previsionali. Altri invece pensano che ci sia un problema di fondo. “L’inflazione ci sta avvertendo che c’è un presupposto di fondo sbagliato”, osserva il cosmologo Max Tegmark del Massachusetts institute of Technology. Secondo Tegmark questo presupposto è l’infinito. I fisici considerano lo spazio-tempo come continuo matematico estendibile all’infinito: come nella retta dei numeri reali, non ci sono vuoti. Se si mette in discussione questo postulato, però, la storia del cosmo cambia completamente: l’inflazione estenderà lo spazio-tempo fino al punto di rottura. A quel punto si fermerà, lasciandosi alle spalle un multiverso grande, ma finito. “Tutti i problemi legati all’inflazione e al problema della misura derivano dal postulato dell’infinito”, dice Tegmark. “È il postulato non dimostrato per eccellenza”.

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E ci sono buoni motivi per ritenere che sia infondato. Gli studi sulle proprietà quantistiche dei buchi neri di Stephen Hawking e Jacob Bekenstein negli anni settanta hanno portato allo sviluppo del principio olografico, secondo il quale la quantità massima di informazioni contenuta in un volume di spazio-tempo equivale a circa un quarto della superficie del suo orizzonte. Se l’universo fosse effettivamente governato dal principio olograico, allora non ci sarebbe spazio a sufficienza per l’infinito. Ovviamente non ci serve un numero del genere per misurare i risultati degli esperimenti. David Wineland, fisico del National Institute of Standards and Technology di Boulder, in Colorado, nel 2012 ha ricevuto il premio Nobel per la fisica grazie allo strumento di misurazione più preciso al mondo: un orologio atomico in grado di misurare gli incrementi temporali fino a 17 posizioni decimali. Il momento magnetico anomalo dell’elettrone, che misura i minuscoli effetti quantistici della rotazione della particella, è stato calcolato fino alla quattordicesima posizione decimale. Ma neanche lo strumento migliore potrà mai compiere una misurazione infinitamente precisa, e per questo alcuni fisici non riescono a darsi pace.

“Penso che l’infinito non piaccia a nessuno. Nessun esperimento dà mai un risultato infinito”, osserva Raphael Bousso dell’università della California a Berkeley. Ma se l’infinito è una parte così essenziale della matematica e del linguaggio che usiamo per descrivere il mondo, come possiamo sperare di sbarazzarcene? Wildberger ha provato a capire come, spinto da quella che a suo modo di vedere è l’influenza negativa dell’infinito nella sua materia. “La matematica moderna ha alcune gravi debolezze logiche che sono in un modo o nell’altro collegate a serie infinite di numeri reali”, spiega. Negli ultimi dieci anni Wildberger ha lavorato a una nuova versione della trigonometria e della geometria euclidea, depurata del concetto di infinito. Nella trigonometria classica l’infinito è onnipresente. Gli angoli sono definiti in relazione alla circonferenza di un cerchio e dunque a una stringa infinita di decimali: il numero irrazionale pi greco. Funzioni matematiche come seni e coseni, che definiscono gli angoli come il rapporto tra due lunghezze, sono espresse in numeri infiniti di termini e solitamente possono essere risolte solo in maniera approssimativa.

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La ‘geometria razionale‘ di Wildberger fa a meno dei numeri infiniti: gli angoli, per esempio, sono sostituiti da uno spread definito non in relazione a un cerchio, ma come risultato razionale estratto da vettori matematici che rappresentano due linee nello spazio. Secondo Doron Zeilberger della Rutgers university di Piscataway, nel New Jersey, il lavoro di Wildberger ha del potenziale. “Tutto diventa razionale. È un bellissimo approccio”, dice. D’altronde, la concezione dell’infinito di Zeilberger è talmente radicale che farebbe rivoltare nella tomba perfino i grandi della matematica precantoriana. Mentre Wildberger si limita a evitare l’uso dell’ininito reale nelle manipolazioni matematiche, Zeilberger vuole sbarazzarsi anche del concetto di infinito potenziale. Dimentichiamoci tutto ciò che sappiamo sulla matematica: un numero massimo esiste. Se cominciamo da 1 e continuiamo a contare, alla fine arriveremo a un numero che non possiamo superare, una specie di velocità della luce della matematica. Questo solleva una serie di domande. Quanto è grande questo numero massimo? “È talmente grande che non si raggiungerà mai”, dice Zeilberger. “Siccome non sappiamo qual è dobbiamo dargli un nome, un simbolo. Io lo chiamo N0”. Cosa succede se a N0 si somma 1? La risposta di Zeilberger si basa su un’analogia con i processori dei computer.

Ogni computer è in grado di elaborare un numero intero massimo: se questo numero viene superato si registra un ‘errore di overflow‘ oppure il processore resetta il numero a zero. Zeilberger considera più elegante la seconda opzione. “Possiamo ripensare la matematica postulando un numero massimo e rendendolo circolare”, dice. Hugh Woodin, teorico degli insiemi dell’università della California a Berkeley, è scettico. “Naturalmente potrebbe avere ragione. Ma per me è una visione limitante. Perché dovremmo accettarla se non ci sono solide prove della sua correttezza?”. Secondo Woodin il successo della teoria degli insiemi, con tutti i suoi infiniti, è un motivo sufficiente per difendere lo status quo. Finora la matematica finitaria ha attirato l’attenzione soprattutto degli informatici e degli studiosi di robotica, che lavorano con forme finite di matematica. I processori dei computer non sono in grado di gestire i numeri reali in tutto il loro ininito splendore. Li approssimano attraverso l’aritmetica del punto galleggiante, un sistema di notazione scientifica che permette a un computer di scartare i decimali di un numero reale risparmiando memoria senza per-dere la sua capacità complessiva.

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L’idea che l’universo finito funzioni in modo simile ha dei precedenti. L’ingegnere tedesco Konrad Zuse, uno dei pionieri dell’aritmetica del punto galleggiante, costruì il primo computer elettronico programmabile nel soggiorno dei suoi genitori nel 1938. Constatando che la sua macchina era in grado di risolvere equazioni diferenziali (che di solito si basano su passaggi infinitamente piccoli per calcolare l’evoluzione di un sistema fisico) senza ricorrere all’infinito, si convinse che la matematica continua era solo un’approssimazione di una realtà finita e discreta. Nel 1969, Zuse, ha scritto Calculating space un libro in cui sostiene che l’universo stesso è un computer digitale in cui non c’è spazio per l’infinito. Tegmark, da parte sua, è affascinato dall’idea che tutti i calcoli e le simulazioni a cui i fisici ricorrono per mettere alla prova una teoria possano essere efettuati su un computer finito. “Questo già dimostra che non ci serve l’infinito per quello che dobbiamo fare. Non ci sono prove che la natura funzioni in modo diverso”. Seth Lloyd, fisico ed esperto di informatica quantistica dell’MIT, raccomanda cautela con le analogie tra il cosmo e un comune computer. “Non abbiamo  prove che l’universo si comporti come un computer”, dice. “Mentre molte prove indicano che si comporta come un computer quantistico”. A prima vista non sembrerebbe un problema per chi vuole mettere al bando l’infinito.

La fisica quantistica nacque all’inizio del novecento, quando il fisico Max Planck mostrò come risolvere un’altra assurdità legata al concetto di infinito. Le teorie classiche dicevano che la quantità di energia emessa da un corpo perfettamente assorbente e radiante avrebbe dovuto essere infinita, anche se chiaramente non era così. Planck risolse il problema teorizzando che l’energia non si esprime come un valore continuo e divisibile all’infinito, ma come un insieme discreto di valori multipli: i quanti. Le complicazioni sono nate con il gatto di Schrödinger. Quando nessuno lo guarda, questo felino quantistico può essere morto e vivo nello stesso momento: esiste in una ‘sovrapposizionedi stati multipli e reciprocamente esclusivi che si mescolano continuamente. Matematicamente questo continuo può essere rappresentato solo usando numeri infiniti. Lo stesso vale per i qubit di un computer quantistico, che possono fare nello stesso momento grandi quantità di calcoli reciprocamente esclusivi solo a condizione che nessuno richieda un output. “Se volessimo specificare lo stato completo di un qubit avremmo bisogno di una quantità infinita di informazioni”, dice Lloyd. La tana del coniglio Tegmark non demorde. “Quando fu scoperta la meccanica quantistica ci accorgemmo che la meccanica classica era solo un’approssimazione”, dice. “Io credo che ci sarà un’altra rivoluzione. Scopriremo che anche la meccanica quantistica continua è un’approssimazione di una teoria più profonda, che sarà sicuramente finita”. La risposta di Lloyd è che dobbiamo lavorare con quello che abbiamo: “Perché non ci limitiamo ad accettare ciò che la meccanica quantistica ci dice invece di imporre i nostri pregiudizi all’universo? Non ha mai funzionato”. D’altra parte è logico che i fisici ne siano affascinati.

Sole-terraSe si riuscisse a eliminare l’infinito dai calcoli sottostanti forse si troverebbe il modo di unificare la fisica. Per limitarci al problema della misura, non servirebbe più trovare una misura arbitraria di probabilità per ripristinare il potere di previsione della cosmologia. In un multiverso finito non dovremmo fare altro che contare le possibilità. Se esistesse davvero un numero massimo dovremmo solo contare fino a lì. Woodin preferisce tenere separati i due campi degli infiniti fisici e matematici. “Può darsi benissimo che la fisica sia finita”, dice. “Ma in questo caso la nostra concezione della teoria degli insiemi rappresenterebbe la scoperta di una verità che in qualche modo va molto oltre l’universo fisico”. Secondo Tegmark, invece, matematica e fisica sono inestricabilmente legate: più scendiamo nella tana del coniglio della fisica per analizzare livelli più profondi della realtà, più le cose sembrano rispondere alla pura matematica. Per Tegmark l’errore fatale insito nel problema della misura ci dice che se vogliamo sbarazzarci dell’universo fisico dell’infinito dobbiamo ripensare da capo anche la matematica. “Ci sta dicendo che le cose non sono solo un po’ sbagliate, ma completamente sbagliate”.

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