Foto che arrivano ad avere milioni di “mi piace” su Facebook in pochi giorni non sono più un esclusiva da guru del marketing ma è tutta una questione di reshares (condivisioni). Ad affermarlo è Alex Dow, uno dei data scientist di Facebook che ha condotto importanti studi in materia di diffusione virale sul web.
Gli scienziati tendono a descrivere il fenomeno della diffusione virale con un modello one-to-many (uno a molti). In pratica una fonte di notizie accreditata, oppure un’organizzazione con ampio impatto sul pubblico, come il governo, può diffondere notizie avvalendosi di un’esponente di utenti che si moltiplica ogni volta che questi condividono e ri-condividono la notizia, creando una specie di catena virale. Ecco come le connessioni assomiglino a milioni di raggi su una singola ruota: stesso epicentro ma diffusione su larga scala. L’estratto qui sotto rappresenta proprio la sintesi di questo lavoro sui reshares, dove ogni punto è un utente:
Notiamo come le azioni siano ad ampio raggio e come queste si concentrino in tanti piccoli “ciuffi”, prevalentemente formati da utenti ben collegati fra loro o pagine Facebook. In totale la foto è stata condivisa da 150.759 utenti e 1.795 pagine.
Un esempio? Ricorderete sicuramente il caso di due ragazzi norvegesi che postarono una foto su Facebook in cui la ragazza, Cathrine, prometteva di fare sesso con il suo amico Peter se l’immagine avesse ottenuto un milione di “mi piace”. Il risultato, anche se si trattava di uno scherzo, è stato comunque ottenuto in pochi giorni. Questa ed altre storie simili hanno perciò alimentato l’interesse accademico di un trio di scienziati, i quali hanno prodotto un lavoro che analizza come immagini di questo tipo diano vita ad un concept di diffusione virale sul web grazie ad una semplice condivisione.
Differente è la situazione della foto che immortala la vittoria di Obama alle elezioni, la quale arrivò ad ottenere quasi 7 milioni di like attraverso “cascate virali” che hanno dato vita, invece, a molte centinaia di migliaia di nodi profondi, giovando così alla longevità della foto sul social. La morale dello studio insomma è che data la vita molto breve dei contenuti (dopo 1 giorno non se la fila più nessuno) bisogna puntare non solo a attirare utenza o convincerla a condividere, ma anche e sopratutto a far rimanere gli utenti sulla notizia in modo che si creino connessioni profonde che permettano una longevità maggiore del contenuto.
Attenzione però che il meccanismo del “viral sharing” non funziona sempre: solo il 5% delle foto sui social network viene ricondivisa e di queste solo lo 0,5% almeno 500 volte o più diventando poi catene virali. Nel caso della foto dei ragazzi norvegesi, perversioni a parte, non è certo una sorpresa sapere che è stata condivisa per lo più da uomini; questo ha formato però nodi di connessioni superficiali che, nonostante siano serviti a raggiungere la quota del milione, hanno determinato- proprio perché superficiali- un decadimento di interesse da parte dell’utenza per la foto, che poi è stata rimossa.
fonte | Mashable