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Calcioscommesse, Gervasoni si racconta: “Così truccavo le partite”

E’ sempre calcioscommesse verrebbe da dire, perchè uno dei peggiori mali del nostro calcio continua a regalare ogni giorno un nuovo avvincente capitolo. Carlo Gervasoni è tornato a parlare, raccontandosi ieri sera ai microfoni del programma televisivo OpenSpace su Italia 1. Il calciatore, coinvolto nello scandalo del calcioscommesse, ha ammesso di aver truccato più di 10 partite, coinvolgendo anche compagni di squadra e avversari. Le sue dichiarazioni hanno messo a nudo tutto il marcio del calcio italiano nel triennio 2009-2011, anno delle intercettazioni e dei primi arresti. “Ho truccato una dozzina di partite dove ero io in campo, poi ho cercato di combinarne altre dove non giocavo.”

Ciò che è emerso è molto meno di quello che poteva emergere”

Esordisce così l’ex Piacenza, che ha poi raccontato nei minimi particolari le modalità con cui bisognava agire per combinare un match. Il passaggio più sconcertante delle sue dichiarazioni è quello che riguarda i calciatori coinvolti: “Era più facile corrompere gli italiani che gli stranieri. Dare un numero esatto dei calciatori che ho contattato per le combine è complicato perché c’è ancora un processo, ma più o meno sono riuscito a contattarne una sessantina. Su questi sessanta solo due hanno detto no, un italiano e uno straniero”. Fa riflettere la facilità con cui si riusciva a corrompere quasi ogni giocatore, alimentando i dubbi anche sulla regolarità dei campionati in corso. In merito Gervasoni si è espresso dicendo che: “Adesso ho dubbi guardando le partite? Ho molti dubbi, adesso le guardo con altri occhi, sono molto malfidente. Me ne accorgo da degli atteggiamenti che percepisco guardando i volti dei giocatori o da alcuni atteggiamenti un po’ sopra le righe”. Sulla stessa lunghezza d’onda il PM Di Martino: “Mi chiede se non credo più al calcio? Diciamo che sono molto perplesso, non riesco a essere convinto al 100%. Ciò che è emerso è molto meno di quello che poteva emergere”. Alla domanda sul come riusciva a combinare un incontro, Gervasoni rha risposto: “La struttura portante di una squadra è fondamentale, ovviamente se si ha il portiere si parte avvantaggiati, poi se hai l’attaccante e un difensore è molto più facile.”

Carlo Gervasoni in studio ieri a Openspace.
Carlo Gervasoni in studio ieri a Openspace.

Nella lunga intervista l’ex giocatore ha avuto modo di raccontare aneddoti su due partite combinate. “La prima partita combinata la proposi a un buon numero di giocatori, 6 o 7. La partita era Albinoleffe-Pisa, febbraio 2009. Il clan era molto organizzato, ogni 20-30 giorni mi cambiavano la sim del telefono che usavamo solamente per dirci ‘ci sono’, poi principalmente ci sentivamo su Skype.” Va più a fondo invece nell’analisi di Atalanta-Piacenza, datata aprile 2010. “Fu la madre di tutte le partite anche perché scoprii appena prima di iniziare che non ero l’unico a sapere della combine. Durante il giro di ricognizione del campo Doni mi chiese se era tutto ok e quel ‘tutto ok’, lo capii subito, era riferito al fatto che si trattava della combine,anche perché quella partita era molto chiacchierata anche prima che si giocasse. In quell’occasione inizialmente dovevamo perdere con due gol di scarto e successivamente perdere con un over, quindi 3-0, 3-1 e via dicendo. Il problema di quella partita era che loro, anche essendo più forti, non riuscivano a segnare. Per fortuna un mio compagno (Zenoni), non coinvolto della combine, con un intervento grossolano procurò un rigore, ma eravamo a più della mezz’ora e dovevamo subire un altro gol. Il fatto particolare è stato che io riferii di Doni al mio portiere (Mario Cassano), anche lui coinvolto, che mi disse di fargli tirare il rigore centrale. Allora io durante il riscaldamento riferii all’atalantino ciò che mi aveva detto il nostro portiere. Il problema era che dovevamo subire un altro gol. Ero terrorizzato che pareggiassimo, a tal punto che ho dovuto creare questo scontro di gioco che portò al rigore. Se non fosse stata una partita combinata, non avrei mai fatto un intervento del genere. Poi protestai con l’arbitro perché non potevi far capire ai compagni, all’allenatore che tu l’avessi fatto apposta. Era normale che si recitasse una parte. Quando poi si raggiunse il risultato, non contenti, subimmo anche il terzo gol, sempre con un errore mio che rivisto adesso è anche abbastanza imbarazzante. In questa partita, da parte nostra eravamo in tre: non voglio fare nomi perché non sono presenti qua, anche se i nomi sono scritti sulle carte. Dell’Atalanta non lo so, so di Doni perché è venuto prima della partita, degli altri non lo so”.

La partita truccata da Gervasoni e Doni Atalanta-Piacenza:


Chiosa finale sulla decisione di rilasciare queste dichiarazioni e sul motivo per cui ha iniziato a collaborare con il clan degli zingari. “Perché mi sono venduto le partite? Per soldi. Non so dirti una cifra totale che ho guadagnato, facevo un lavoro in cui guadagnavo bene, anche 10-15mila euro al mese. Ho giocato un anno senza prendere lo stipendio, ma questa non è assolutamente una scusante. Loro davano anche a me solo, personalmente, perfino 80mila euro. Non dormivo tranquillo, ma con un’adrenalina positiva. Non sono ipocrita, sono pentito, ho sbagliato ma se l’ho fatto è perché fondamentalmente mi andava bene il fatto che in così breve tempo portavo a casa così tanti soldi. Mi sono sentito una merda, fingevo anche con i miei compagni perché a volte ho giocato anche contro la mia squadra”.

 

Immancabile la “ciliegina sulla torta” del “pentito”. “Ho deciso di parlare per togliermi un peso non facile da tenere dentro e poi perché mi avevano beccato con le intercettazioni e avevo paura di andare in carcere. Se non avessero fatto le intercettazioni, starei giocando ancora, magari non in maniera propriamente pulita. Sono sincero, se non mi avessero beccato sarei andato avanti“.

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