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Antognoni: “La serie A ha bisogno di inventiva e coraggio. Che peso quel numero 10…”

Quando il talento, la classe, il carisma “indossano” scarpini e calzoncini corti, quando cerchi un paragone che coniughi le parole “qualità” e “quantità”, quando pensi a chi ha scritto la storia del calcio rimanendo nell’immaginario collettivo come uno dei più forti centrocampisti che l’Italia (e non solo) abbia mai visto calcare i rettangoli verdi, non puoi non ricordare chi è stato Giancarlo Antognoni. Membro di diritto dell’esclusivo club “number 10”, lineare esempio di quel calcio dove prima del fischio d’inizio l’immancabile fotografia che si faceva era “in piedi e accosciati”.

E dire che il centrocampista toscano era il capitano e simbolo di quella Fiorentina che nel lontano ’81-‘82 duellò fino all’ultimo contro la Juventus, vedendosi sfilare il sogno scudetto dopo una serie di discutibili decisioni arbitrali a tinte bianconere, atto di nascita di quella fortissima rivalità che, da proprio da allora, separa i bianconeri dalla “Viola”. E se Zeffirelli, in quell’occasione, diede del “mafioso americano” a Boniperti, lui, Giancarlo Antognoni da Marsciano, preferì un silenzio dignitoso, ma carico di significati, all’urlo della piazza.

Antognoni ha rappresentato il concetto di calciatore “bandiera”, che tanto fa moda oggigiorno, senza mai superare le righe, senza mai scegliere la breve via della polemica

a9D’altronde, Antognoni, prospettiva sulle idee e sul senso della vita, l’aveva cambiata giusto un anno prima: se ti rialzi da uno scontro così duro come quello subito contro il portiere del Genoa Silvano Martina (nella foto a sinistra), il 22 novembre del 1981, per la precisione, con più di un trauma cranico che quasi ti uccide, beh, la scala dei valori si ridefinisce da sé. E se non sei forte e grintoso abbastanza, non accetti nemmeno che, nella partita più bella che un calciatore sogna fin da bimbo, quell’Italia-Brasile da raccontarsi ai posteri, mentre scrivi la Storia in un Mondiale strepitoso, ti venga annullato il gol, il quarto, che avrebbe schiantato i carioca.

ultras-fiorentina-bandiera-onora-il-padreO che uno stupido fallo del terzino polacco Matysik, nella semifinale Mundial, ti impedisca di recitare sul palco più illuminato per l’ultimo atto. Ma quel titolo strappato ai tedeschi, costruito anche da Antognoni in mezzo al campo basta come lenitivo, non dubitiamo. E non è un caso che di lui, e del suo modo sereno di fare calcio, dissero: “è un ragazzo che gioca guardando le stelle”. Queste parole ora accolgono il visitatore nella sua homepage Facebook, a ricordo di quella azzeccatissima definizione che fu data del suo modo di essere il Capitano, di incantare il “Franchi” che lo ha visto dettare tempi e geometrie per ben trecentoquarantuno volte: mai nessuno è stato più presente con la maglia viola addosso. E non si può non condividerle: quello che è stato il precursore di un altro grande numero dieci, il Divin Codino, resta legato a Firenze come il cielo sopra Fiesole o l’Arno sotto Ponte Vecchio: per sempre.

Detiene il record di presenze fra i giocatori viola con 341 gare in Serie A. Con 73 gare in azzurro è anche il giocatore della Fiorentina con più presenze in Nazionale, con 7 reti realizzate

Antognoni, chi meglio di lei può rispondere a questa domanda: Montella si? Montella no? Che ne pensa: come azzarda “radio mercato”, le strade del tecnico napoletano e dei Della Valle sono destinate e dividersi a fine stagione? Oppure no? Che bilancio traccia della gestione “democratica” dell’ex Aereoplanino?

“Senza ombra di dubbio, Montella rappresenta uno dei migliori allenatori che la scuola italiana ha espresso negli ultimi anni. Ha un’idea di gioco, sa dare un’impronta alle proprie squadre, riesce a tirare fuori il meglio dai suoi giocatori. Certo, anche lui come tutti gli altri tecnici può commettere errori, sbagliare valutazioni, ma fa parte del ruolo dell’allenatore, che è sempre solo nelle sue scelte. Non so se il matrimonio tra la proprietà e Montella proseguirà, ma credo che sarà così: anche guardando il percorso dei viola in Italia e in Europa, non si può non apprezzare l’assoluta bontà dei risultati ottenuti. Infine, mi lasci ricordare la quantità imbarazzante di infortuni che la sua rosa ha subito; i “casi” Rossi e Gomez su tutti. Dategli tempo, serenità e un pizzico di fortuna in più, e i risultati arriveranno”.

Dai viola al calcio nostrano. Lei che ha giocato nella serie A che annoverava il fior fiore dei giocatori stranieri del tempo, condivide l’opinione che il nostro massimo campionato sia oramai di rango inferiore, al netto dell’ingeneroso ranking Uefa?

“Credo di non poter essere smentito affermando che la nostra serie A è oggettivamente più “povera” rispetto a quella dei miei tempi. E non è una “povertà” dovuta esclusivamente alle ridotte disponibilità economiche a disposizione di dirigenti e presidenti. Nelle ultime sessioni di mercato, ho notato come manchi la vera e propria inventiva, la capacità di fiutare l’affare anche scommettendo e rischiando. Per la verità, qualcuno che azzarda e che sonda il mercato c’è, ma si contano sulle dita di una mano. Il fascino della serie A si è sempre basato sulla concorrenza, sulla varietà. Ecco , mi pare manchi tuttociò, credo ci si accontenti di poco, sia da un punto di vista atletico che tecnico-tattico. Ma bisogna invertire la rotta, l’Europa non aspetta”.

E del campionato in corso che fotografia ci fa? Prende quota la lotta Champions; a Roma è tutto un parlare di sorpassi e controsorpassi…

“Ci credo, ci sarà da divertirsi…(ride, ndr). In effetti, mi pare che la corsa Champions sia appannaggio esclusivo delle romane, con la Lazio che tira l’andatura e la Roma, secondo me, pronta a ribattere. Hanno un margine di sicurezza, a mio modo di vedere, alquanto rassicurante anche se il calcio è sempre pronto a smentire i giudizi, le classifiche, le aspettative”.

Nato tifoso rossonero È cresciuto nel mito di Rivera

E per le altre posizioni? Chi la spunta per l’Europa che, a torto, solo noi italiani consideriamo minore?

“Non credo affatto che l’Europa League sia un torneo di secondo piano, tutt’altro. A meno di sorprese, di travolgenti rimonte o sensazionali crolli, le due piazze se le contenderanno Napoli, Fiorentina e Sampdoria. Le milanesi, poi, non credo possano inserirsi in un discorso valido per qualificazioni o piazzamenti importanti. Almeno quest’anno, mi pare assai difficile”.

Giancarlo_AntognoniCuriosando nell’Antognoni giocatore, qual è l’allenatore che le ha dato di più e al quale è rimasto legato, sempre ammesso che sia uno?

“E infatti uno solo non può essere: Nils Liedholm, Gigi Radice, Carlo Mazzone e tanti altri. Tutti maestri, tutti capaci di affinare le mie caratteristiche, migliorare le mie imprecisioni, darmi un confronto tecnico e un conforto umano quando si doveva. Grandi allenatori, grandi uomini”.

Tre giorni fa è scomparso Eduardo Galeano, scrittore acuto e grande appassionato di calcio. Diede una azzeccata definizione – poi rivista per Maradona – del “numero 10”, sostenendo che “gioca, vince, piscia: sempre da solo.”. Quando era in campo, l’avvertiva anche lei questa “solitudine del numero dieci”?

“Ho sempre sentito un grande senso di responsabilità indossando la maglia viola con quel numero sulle spalle. È vero, non è un numero come gli altri, ha un che di speciale, è quello che i tifosi vogliono venga vestito con onore e sacrificio; insieme al “nove”. Si, spesso, anche io ho avvertito quella solitudine, quel senso di unicità: mi bastava però incrociare lo sguardo dei miei compagni per capire che c’era un’intera squadra con me”.

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