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Obsolescenza programmata

La moda degli smartphone ha portato l’economia dell’informatica, e quindi tutte le società che vi operano, a svolgere una frenetica attività di sviluppo e produzione per l’arrivo di nuovi modelli; non più, come accadeva una volta, uno ogni quattro o cinque anni, ma bensì uno all’anno, se non a distanza di pochi mesi. Questo dato si è evoluto in parallelo con l’avanzare delle tecnologie, sempre più richieste e amate dall’utenza di tutto il mondo, che cerca di accaparrare l’ultimo dispositivo in uscita per essere perfettamente integrata alla società di oggi. Il consumismo è ormai una normalità, ma qualcuno potrebbe approfittarsi di questa grande richiesta, quasi cieca, per sviluppare affari che portano il settore a regredire, nel momento stesso in cui avanza, creando un disagio sociale artificiale.

Per secoli l’uomo ha svolto il proprio lavoro in vista dell’obbiettivo finale che, un po’ in tutta la storia dell’umanità, si basava sull’evoluzione della specie in relazione a ciò che esso creava. Più ciò che inventava era avanzato, maggiori erano i passi in avanti che il mondo stesso faceva, creando un circolo virtuoso dal quale era impossibile uscire. Questo accadeva grazie agli interessi che vi erano sotto tutti i progetti, basati proprio sulla sopravvivenza, e quindi difficili da non notare. Per dare un’idea di quello che voglio intendere, quando l’uomo ha scoperto la pietra si è prostrato a comprendere le potenzialità di quel materiale in tutte le sue sfaccettature, che ancora oggi utilizziamo in moltissimi progetti volti a far progredire il pianeta. Questi uomini, così saggi e pazienti, volevano solo trasformare una semplice materia in risorsa, che avrebbe migliorato la vita a tutti: così è stato. Tale meccanismo, oggi, non è messo in atto come all’epoca, e ciò potrebbe creare divario grazie ad una obsolescenza programmata.

E’ interesse dell’uomo andare avanti, ma quando questo si interseca con il denaro e la possibilità di produrne dell’altro, allora, le cose cambiano. Questo articolo nasce da domande molto attuali fra l’utenza moderna: la tecnologia che usiamo, viene creata per dare il massimo della potenza? Oppure qualcuno allenta i cavi cercando di fare due passi in uno? Siamo Geppetto, quindi chi comanda, oppure Pinocchio, chi viene comandato? Le risposte a queste domande potrebbero essere proprio sotto i nostri occhi.

Negli ultimi anni, molti utenti, soprattutto nei mesi e settimane precedenti l’arrivo di un nuovo smartphone, sono stati vittime di alcune stranezze che proprio i loro amati dispositivi svolgevano, fra rallentamento del software, bug vari e distruzioni improvvise di parti legate all’hardware. Tali problemi hanno portato gli utenti all’acquisto del nuovo modello, subito dopo l’uscita sul mercato, per tornare alla normalità e non rischiare di perdere tutta la ‘vita’ digitale e le comodità generali che vengono offerte dai dispositivi. La particolarità di questo argomento ha attratto anche studiosi da tutto il mondo, che si sono messi a lavoro per comprendere se le cause vengono direttamente gestite e svolte dalle società produttrici, oppure se è un semplice caso.

Qualche anno fa, circa nei primi del 2000, giravano voci, fra gli esperti del settore, sull’inserimento di chip studiati ad hoc per distruggere i dispositivi in un determinato momento della loro esistenza; un po’ come una bomba ad orologeria, che nel momento dettato esplode. In merito alle voci, che erano poi basate su un determinato prodotto, non si è più saputo nulla, ma negli anni a venire qualcuno ha iniziato a sospettare che le tecnologie potrebbero essere controllate. La produzione avverrebbe secondo le giuste regole, anche perché vi sono molti controlli su questo, a differenza di qualche anno fa, ma la parte software potrebbe essere il pozzo nel quale cercare. L’obsolescenza programmata potrebbe partire dai computer stessi delle aziende informatiche che, attraverso sistemi integrati negli OS, distruggerebbero determinati supporti così da far crollare i dispositivi e far riflettere l’utente su un nuovo acquisto. Anche se può sembrare molto strano, questo tipo di attività, ovvero il controllo perenne dei dispositivi, è stato scovato dal caso Datagate, e quindi non parliamo di fantascienza.

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Questo tipo di meccanismo, secondo gli studiosi e alcuni analisti, potrebbe essere antiproduttivo per una azienda, che deve dare il massimo per vendere il proprio dispositivo e renderlo magnificamente bello e potente, oltre che desiderabile, agli occhi del consumatore. Sicuramente questo dato va preso in considerazione, ma potrebbe appannarsi nel momento in cui vediamo le statistiche degli ultimi anni, dove si vede chiaramente che società come Apple e Samsung creano dispositivi con sempre minor vita. Sendhil Mullainathan, professore di economica all’università di Harvard, ha scritto un articolo in merito, che non mette un punto esclamativo alla vicenda, ma che volge delle domande all’utenza provando a misurarsi in merito al dubbio. Anche la studentessa di Harvard, Laura Trucco, ha utilizzato i risultati di Google Trends, con le parole ‘iPhone slow’ e ‘Samsung Galaxy slow’, arrivando alla conclusione descritta poco sopra.

Secondo il professor Mullainathan, Apple potrebbe essere l’azienda con maggiori interessi verso questo meccanismo, non solo perché ha bisogno di vendere più dispositivi, per combattere la concorrenza, ma anche perché è l’unica società del settore che ha proprio il software e l’hardware. Samsung, d’altro canto, sviluppa milioni di vendite con moltissimi dei suoi modelli, non solo top gamma, e ha un sistema operativo non proprietario. Google, invece, di motivi non ne avrebbe, perché gli affari vanno a gonfie vele. Gli studi, però, potrebbero essere imprecisi, come dice lo stesso Mullainathan, visto che si può analizzare la ricerca fatta in rete, ma non come questa è poi terminata.

Ci auguriamo che questo possa rimanere un semplice sospetto, perché se così non fosse ci troveremo di fronte ad uno degli errori più gravi che l’umanità può svolgere su se stesso: l’obsolescenza programmata.

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