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The Internet of things

Uno degli argomenti più spinosi ed interessanti degli ultimi anni è sicuramente basato sull’Internet of things, un pensiero filosofico e futuristico di ciò che potremmo andare a sviluppare con l’aiuto della tecnologia nei prossimi anni. È affascinante soprattutto perché descrive ciò che saremo, attraverso tecnologie che abbiamo, ma con differenti metodi di utilizzo rispetto a quelli cui siamo abituati. Quindi niente smartphone e tablet, o comunque non come punto principe del pensiero, ma le ‘cose‘; tutto ciò che ci circonda potrebbe comunicare con noi e con se stesso, fornendo una rete di dati che potrebbero regalare migliaia di nuove possibilità e, soprattutto, risparmio di tempo e denaro per tutti. Il pensiero di questa idea non nasce in questi ultimi anni, bensì già da qualche decennio.

È un argomento così antico che anche Nikola Tesla, lo scienziato serbo naturalizzato americano, ne parlava nel 1926. Il pensiero però, ha ora raggiunto la sua massima esposizione. Il punto è che il mondo, da quando Tesla si pronunciò, si è modellato, è avanzato, ma soprattutto ha capito cosa la tecnologia è capace di fare, divenendo allo stesso tempo più complesso. Per darvi un’idea, ogni due giorni creiamo la stessa quantità di informazioni prodotta dagli albori della civiltà fino al 2003. Se tirassimo su una pila di carta, nella quale dovremmo scrivere tutte le informazioni, riusciremo a raggiungere Plutone. È una vera e propria cascata d’informazioni quella che viviamo ogni giorno, la quale produce anche un livello di complessità difficile da gestire. Infatti, ad oggi, il 25% delle informazioni che raduniamo per prendere delle decisioni sono sbagliate; i dati ci dicono che le medie aziende italiane spendono ogni anno un milione e mezzo di euro per acquisire informazioni che hanno già. Questa è la realtà dell’informazione di oggi, quindi complessa e districata, e da una parte abbiamo una massa enorme di dati che in qualche modo vengono prodotti dai computer di tutto il mondo tutti i giorni, dall’altra abbiamo il mondo fisico, quel mondo fatto di oggetti che si spostano, fatto di cose che pesano e ingombrano, ma soprattutto che si toccano.

Dopo tutti gli anni passati a sviluppare tecnologie però, ancora oggi, non siamo riusciti ad unire questi due mondi, ma li teniamo separati e collegati solo attraverso l’uomo. Sono mondi che spesso vanno in contrasto l’uno con l’altro, con alcuni che vivono in un mondo digitale dove tutto corre veloce, dove tutto funziona e dove non ci sono errori, anche sapendo che non è così, e altri che vivono in un mondo completamente opposto, dove tutto va a rilento, un mondo che inquina, lo stesso mondo a cui rivolgiamo la colpa dei nostri problemi, magari sperando che il digitale li risolva. Ma in realtà è tutto molto differente, perché noi vivendo questi due mondi come mondi in contrasto non facciamo altro che creare tutta una serie di discrasie che poi finiscono per produrre dei risultati abbastanza strani. Noi non dobbiamo dimenticare che le nostre aziende, la società, non sono fatte di universi in contrasto, ma sono un unico universo, fatto di digitale e analogico. Oggi abbiamo superato quella fase nella quale pensavamo che ci fosse un mondo reale e uno virtuale, qualcuno magari ricorderà ‘Second Life‘, nel quale era possibile ricostruire la nostra immagine reale con un avatar virtuale e vivere una seconda vita in un secondo universo, quello digitale. Uno su ‘Second Life’ poteva essere alto, bello, biondo e con gli occhi azzurri, passeggiare in questo universo e trovare una bellissima donna, fidanzarsi, comprare casa, poi magari dopo qualche anno scoprire che era un uomo e anche brutto.

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Oggi non è più così, abbiamo i social network, Facebook, Twitter, Google+, con una società che ne fa uso in modo drammatico e con altrettanti drammatici risultati. Noi con i social network mettiamo la nostra faccia in un contesto che non è più virtuale, ma digitale, e attraverso questo contesto noi ‘rimappiamo’ le nostre relazioni reali, anche in modo sostanzioso. Di conseguenza da una parte abbiamo un mondo che sta andando in una direzione, dall’altra abbiamo le nostre aziende, dove spesso ci troviamo a vivere momenti di attrito tra i pezzi analogici e quelli digitali, non rendendoci conto che stiamo vivendo in una sorta di partita a tennis, nella quale ci rimbalziamo le motivazioni dei problemi e, a forza di rimbalzarci questi problemi, guardiamo la palla, non pensando e agendo per mettere a posto questi problemi, oltre a non capire che la società tutta è già cambiata e che per superare questo passaggio noi non possiamo non renderci conto del fatto che digitale e analogico oggi non possono vivere distaccati. La simbiosi che si dovrebbe creare è resa di fatto possibile dall’Internet of things. È questo il pensiero che vi è sotto, un punto d’incontro tra il digitale e l’analogico, è il digitale che esce dai computer ed entra nelle cose, è il momento in cui il digitale diviene persuasivo, cambiando quella che è la realtà analogica.

Il problema però è: cosa succede quando nelle cose entra l’IT (information technology) ? Si potrebbero fare lunghe disquisizioni su tale domanda, ma vorrei utilizzare un certo Cafu, calciatore brasiliano degli anni 90 e dell’inizio del 2000, che divenne famoso per una sua osservazione, quando disse, rispondendo ad un’intervista per evadere la domanda: “A questa cosa non rispondo perché una cosa è una cosa e un’altra cosa è un’altra cosa”. Si può pensare quello che si vuole di questa risposta, ma in realtà c’era molta verità. Per riprendere la domanda fatta sopra però, non dobbiamo pensare alle navi spaziali, ma alle sedie; cosa diventa una sedia quando la viviamo nell’Internet of things? Che caratteristiche acquisisce? Che servizi ci può dare, in più di quelli che già offre? Ebbene, se tutto ciò accadesse le cose dovrebbero essere completamente ripensate. Infatti, nel momento in cui la sedia entra a far parte dell’Internet of things, prima di tutto ha una sua identità, con la possibilità di identificarla in rete, e con il PV6 noi sappiamo che abbiamo così tanti IP possibili da utilizzare che finiremo per attribuire un IP ad ognuna delle sedie sulle quali siamo seduti ogni giorno.

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Ma molti potrebbero domandarsi: cosa ci importa di avere un indirizzo IP sulle sedie? Per esempio potremmo sapere se qualcuno vi è seduto sopra; potremmo sapere quante persone, che stanno leggendo questo articolo, sono già sedute sulle sedie pronte a leggere; ma non solo possono essere identificate, e quindi offrire dati su chi vi è seduto, ma possono comunicare fra di loro, parlando con la rete e consentire di sapere questi dati, anche a lunghe distanze. In più potremmo dotare le ‘cose’ di sensi e, in questo caso, la sedia potrebbe sapere quanto pesiamo, cambiando completamente il suo servizio offerto, ma non con tecnologie futuristiche e ancora da inventare, ma con quelle che abbiamo oggi. Il PV6 esiste, l’NFC esiste, i sensori di peso esistono, sono tutte tecnologie esistenti. Sono tutte cose che no si potranno fare, ma che si possono fare e, aggiungerei, che si devono fare, in un contesto in cui tutto farà si che le cose, oltre a parlare con le persone, cominceranno a parlare tra di loro. Gli analisti ci dicono infatti, che nei prossimi anni sarà proprio l’ambito del ‘machine to machine‘ ad aumentare. a questo punto la domanda è scontata: quando accadrà tutto questo? La risposta è quasi scontata, parliamo di qualcosa che è già in atto.

Gartner ci dice che l’Internet of things sta arrivando al suo apice, ma ci comunica anche che ben presto supereremo questa fase, rendendoci conto che l’Internet of things è già in atto. Alcuni dicono che questo apice verrà superato fra circa dieci anni, ma se ci guardiamo intorno in realtà già ci siamo. Il cloud computing è una di queste, il 3D printing, con la sensoristica sviluppata ad oggi. Insomma, il mondo è ormai maturo. Ma anche avendo un mondo maturo molti si domanderanno: ora che ce ne facciamo di questa Internet of things? Lo risposta la possiamo sollevare analizzando quelle che sono le caratteristiche di questo fenomeno: la connessione, che da sola è già molto allettante per i servizi e le possibilità che potrebbe offrire; il controllo, con il quale ci serviremo per sapere come sono le cose e cosa vi accadrà al loro interno; la ricerca, utile per ritrovare qualsiasi oggetto da noi smarrito o magari che dobbiamo recuperare dopo molto tempo; la gestione, la cosa che ci permetterà di utilizzare al meglio questo fenomeno.

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L’altra domanda da porsi è: chi riguarda tutto ciò? È evidente che riguarda tutti, oltre a riguardare ogni singola industria, e diventerà parte integrante della vita dei consumatori, perché quello che succederà oggi finalmente con l’Internet of things è quello che è successo ieri finalmente con i social network, con i telefonini, i tablet e, prima ancora i PC. La società cambia molto più rapidamente di quanto pensiamo, anche se per molti questo è ancora molto sottile, e i cambiamenti non li vediamo perché non abbiamo una visione prospettica del passato, ma in dieci anni abbiamo cambiato completamente la nostra fruizione del livello di mobilità e lo stesso accadrà con l’Internet of things. Ad oggi, un quinto delle coppie negli stati uniti si conosce tramite i social network, strumento che fino a cinque anni fa non conoscevamo minimamente e ancor meno lo utilizzavamo. Allora pensavamo che, se due si conoscevano in rete, erano due nerd, oggi non li chiamiamo più così, anche perché saremo tutti un po’ nere, infatti il termine è cambiato in geek. Se ci pensiamo bene però, sono proprio quelli che noi chiamiamo nere, guardiamo soprattutto i massimi esponenti degli ultimi anni, che hanno cambiato il mondo, attraverso la tecnologia. Ovviamente noi gli siamo andati dietro, anche perché le intuizioni erano necessarie per lo sviluppo della società.

Questo porta le persone, ma soprattutto le organizzazioni, a dover affrontare un cambiamento di paradigma che mai prima hanno vissuto, perché l’Internet of things rappresenta l’uscita dell’IT verso il mondo reale, al quale noi facciamo affidamento quotidianamente. Tutto ciò però, non è una questione di tecnologie, bensì di economia e società. Lo sviluppo e le tempistiche del fenomeno dell’Internet of things non sarà guidato dal progresso tecnologico, ma da come la società saprà adattarsi a questo cambiamento. Il tutto lo si vivrà anche con l’economia e il commercio, attraverso una sfida continua che vedrà tutti in competizione in ogni istante. Allo stesso tempo però, le aziende non sapranno più quali sono i loro competitors. Se ci pensiamo è veramente incredibile, ma la storia parla chiaro. Chi avrebbe immaginato, circa dieci anni fa, che la più grande azienda di distribuzione musicale oggi sarebbe stata Apple, società che allora produceva computer; chi avrebbe mai immaginato, qualche anno fa, che oggi la principale società di apparecchiature fotografiche sarebbe stata Samsung; anche questi sono impatti che ha creato l’IT. La cosa curiosa è che quando l’IT entra in un settore ne forma il business a sua immagine e somiglianza, perché è molto più facile per Apple entrare nel mercato della musica che per le case discografiche sviluppare il processo del mercato.

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Tutto ciò nasce dal fatto che disponiamo, oggi, di tecnologie che permettono la connessione: Apple esiste perché abbiamo i device connessi, senza la connessione non sarebbe stata la società che conosciamo oggi. Se pensiamo solamente ai servizi che offre, dalle App, ad iCloud, tutto è collegato. Stiamo vivendo in un periodo in cui i dispositivi connessi aumentano già in fase esponenziale, e questo implica che le nostre aziende non possano non innovarsi. Ma il processo di innovazione però è molto differente e dislocato rispetto a quello che piacerebbe a tutti. Se volessimo fare un esempio potremmo prendere la samba. La tecnologia infatti, fa sempre due passi in avanti, uno di lato e uno indietro, non sviluppandosi come dovrebbe ma andando a rilento, poiché l’innovazione è un processo complesso, e in questo l’Internet of things non fa eccezione. Se non proviamo, magari anche sbagliando, non possiamo sapere come andrà. Se rimaniamo fermi rischiamo di adagiarci sugli allori come ha fatto Kodak, la quale pensava di avere in mano il mondo della fotografia, ma che si è ritrovata con un pugno di mosche quando Sony, Canon, Nikon e Samsung hanno tirato fuori i denti e hanno iniziato a cacciare, svelando prodotti ai quali Kodak non poteva nemmeno pensare di arrivare, colpa delle tecnologie vecchie e marcie degli anni 80 che non aveva sviluppato.

Stiamo vivendo in un periodo di crescita esponenziale del fenomeno, che porterà dietro di se tutti i settori dell’industria e dell’economia. Dobbiamo fare attenzione a non far diventare l’Internet of things un nostro obbiettivo, perché esso non è un obbiettivo, ma il nostro strumento, quindi dobbiamo promuovere lo sviluppo dell’Internet of things per arrivare ad avere dei benefici, che non dovranno essere solo per noi stessi, ma per tutti. In questo, la connessione dei device, e delle persone, attraverso i socie network, farà la differenza. Il ‘come‘ non può che dipendere da noi, perché l’Internet of things sarà definita una cosa intelligente solamente se noi la sapremo rendere tale.

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