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I segreti di Samsung

Quando parliamo di informatica, tecnologia ed elettronica non possiamo non pensare a Samsung, una delle più grandi aziende al mondo grazie ad un fatturato annuo stimato intorno ai 250 miliardi. Sansung però non è solo questo, infatti in molti non sono al corrente degli altri mercati toccati da questa società, completamente diversi da quelli che conosciamo: abbigliamento, prodotti chimici, apparecchiature mediche, strumenti di precisione, semiconduttori e basi navali. Insomma, un impero distribuito in tutto il pianeta. La sua espansione ha avuto luogo fin dalla fondazione, avvenuta nel lontano 1938, da Lee Byung-chull a Daegu, nell’attuale Corea del Sud, e da quel momento in poi non si è più fermata, divenendo ciò che tutti oggi conosciamo. Molti la considerano una società da disprezzare, altri invece la considerano un punto di riferimento per la quale avere ammirazione. Il suo impero però nasconde dei segreti, gli stessi che l’hanno resa una super potenza e che oggi le fanno guadagnare miliardi in tutto il mondo.

Attraverso un’inchiesta di Bloomberg, andremo a raccontare come il colosso sudcoreano è diventato il numero uno del mercato degli smartphone e lo sfidante più pericoloso di Apple. Le parole che leggerete sono del giornalista Sam Grobart, che si è infiltrato all’interno della società rivelando segreti ancora sconosciuti.

Mi trovo in un furgoncino Mercedes nero, in compagnia di tre addetti alle pubbliche relazioni della Samsung Electronics. Siamo diretti a Yongin, 45 minuti a sud di Seoul. È una città anonima e in pieno boom, famosa per attrazioni turistiche come l’Everland Resort, il più grande parco a tema del paese. Ma il furgoncino non sta andando a Everland. Ci aspetta un parco a tema molto più redditizio: il centro Samsung per lo sviluppo delle risorse umane. Il nome ufficiale del complesso è Changjo kwan, che vuol dire ‘istituto della creatività’. È una struttura gigantesca con il tipico tetto alla coreana in mezzo a un parco. Sotto un passaggio coperto, una mappa scolpita su mattonelle di pietra divide il mondo in due parti: i paesi dove Samsung è già presente, contrassegnati da luci blu, e quelli dove Samsung sarà presente, contrassegnati da luci rosse. La mappa è quasi tutta blu. Nell’atrio un’incisione in coreano e in inglese proclama: “Dedicheremo le nostre risorse umane e la nostra tecnologia alla creazione di prodotti e servizi di qualità superiore, contribuendo così al miglioramento della società globale”. Un altro cartello, in inglese, dice: “Go! Go! Go!”.

Ogni anno più di cinquantamila lavoratori passano per il Changjo kwan e per le strutture limitrofe. Durante le sedute, che possono durare pochi giorni o diversi mesi, i dipendenti sono iniziati a tutto quello che gira intorno al mondo Samsung, dalle tre P (prodotti, processi e persone) al “management globale” che regola l’espansione nei nuovi mercati. A volte si cucina addirittura il kimchi tutti insieme per imparare a lavorare in squadra e a familiarizzare con la cultura coreana. I dipendenti alloggiano in camere singole o in comune, a seconda dell’anzianità. I piani del complesso sono intitolati a pittori famosi, di cui rilettono lo stile. Al piano Magritte ci sono nuvole sui tappeti e lampade da tavolo rovesciate sul soffitto. Lungo i corridoi una voce registrata in coreano accompagna i visitatori. “Sono commenti del presidente che risalgono a qualche anno fa”, spiega una dipendente. Il presidente della Samsung Electronics è Lee Kun-hee, 71 anni. Di lui si è parlato molto nel 2008 e nel 2009, quando è stato condannato per evasione fiscale e poi graziato dal presidente sudcoreano. Da allora Lee mantiene un profilo basso e non vuole farsi intervistare. Ma evidentemente la volontà di non farsi vedere non vale alla Samsung, dov’è onnipresente.

A parte gli slogan dagli altoparlanti, le pratiche interne e le strategie esterne della Samsung, dal modo in cui sono progettati i televisori alla filosofia della crisi perpetua‘ alla base dell’azienda, nascono tutte dal codice degli insegnamenti del presidente. Da quando Lee ha preso il controllo del gruppo, nel 1987, le vendite della Samsung sono cresciute del 5.575% arrivando nel 2012 a 141 miliardi di dollari. La Samsung è diventata così la prima azienda elettronica al mondo per ricavi. Nonostante la forte presenza internazionale, tuttavia, è ancora avvolta nel mistero. Tutti conoscono la storia di Steve Jobs e di Apple, o di Akio Morita e della Sony. Ma Lee Kun-hee e la Samsung?

SAMSUNG LEE

Molti spiegano il successo dell’azienda con il sostegno del governo sudcoreano ai capitani d’industria locali e con l’accesso facilitato ai capitali. Per chi lavora alla Samsung, però, tutto parte dal presidente Lee e dalla Frankfurt room. A vederla non è granché: arredi vintage dei primi anni novanta e un grande tavolo con un centrotavola di fiori finti. In realtà la Frankfurt room sta al Changjo kwan come la cappella Clementina sta alla basilica di San Pietro: un posto speciale all’interno di un posto speciale. È vietato fare fotografie e quando si entra si parla sottovoce. La stanza riproduce in ogni minimo dettaglio la scialba sala conferenze dell’hotel tedesco dove nel 1993 il presidente Lee convocò i suoi luogotenenti ed espose il piano che avrebbe trasformato Samsung, all’epoca azienda produttrice di televisori di seconda fascia, nella più grande e potente azienda elettronica del mondo. Per raggiungere questo risultato, bisognava passare da una produzione di grandi volumi e bassa qualità a una produzione di alta qualità, anche a costo di sacrificare le vendite. E, soprattutto, bisognava guardare oltre i confini della Corea del Sud, lanciandosi alla conquista del mondo.

Ora per Samsung è un momento d’oro. L’azienda domina il mercato dei televisori e vende moltissime lavatrici, ma è grazie agli smartphone che è diventata una presenza mondiale simile a Disney o a Toyota. Il suo marchio non ha ancora il lustro di Apple, ma si sta afermando come l’anti-Apple, e il suo smartphone Galaxy si vende più di iPhone. Samsung è forse l’unica azienda, a parte Apple, che quando presenta un prodotto crea una fila di un isolato, com’è avvenuto il 14 marzo a New York per il lancio del Galaxy S4. Non era mai successo per un nuovo frigorifero (anche se i modelli studiati per il kimchi e il mercato coreano sono davvero notevoli). Samsung Electronics è la parte più consistente di un conglomerato che da solo vale il 17% del della Corea del Sud.

Il gruppo dà lavoro a 370mila persone in oltre ottanta paesi, ma la sua presenza si sente soprattutto nel paese d’origine, dove è talmente forte che potrebbe essere scambiato per uno stato parallelo. Un cittadino di Seoul potrebbe nascere al Samsung medical center e poi andare ad abitare in un condominio costruito dalla divisione edile di Samsung (che ha costruito anche le Petronas twin towers e il Burj khalifa). La sua culla potrebbe arrivare dall’estero, e magari essere stata caricata su una nave cargo costruita dalla Samsung Heavy Industries. Crescendo, questa persona probabilmente vedrà gli spot della Samsung Life Insurance, realizzati dalla Cheil Worldwide, un’agenzia pubblicitaria di proprietà della Samsung, e indosserà abiti Bean Pole, un marchio della divisione tessile di Samsung. Quando i suoi parenti verranno in visita potranno soggiornare all’hotel Shilla o fare acquisti allo Shilla Duty Free, entrambi di proprietà di Samsung. Da anni ormai i grandi conglomerati sono caduti in disgrazia in gran parte del mondo industrializzato. Quello che distingue Samsung dalla Gulf+Western, dalla Sunbeam e da altri esempi ormai scomparsi è la determinazione e la capacità di saper cogliere le occasioni.

SONY DSC

“Samsung è come un’organizzazione militare”, dice Chang Sea Jin, professore della National university of Singapore e autore del libro ‘Sony vs Samsung’. “L’amministratore delegato decide in che direzione andare e non ci sono discussioni. Si esegue l’ordine”. Come osserva Mark Newman, analista della società di ricerche Sanford C. Bernstein, “Samsung è come un orologio”. Newman ha lavorato in Samsung dal 2004 al 2010. “Devi metterti in riga. Se non lo fai, la pressione di chi ti circonda diventa intollerabile. Se non sei in grado di seguire una specifica direttiva non puoi restare in azienda”. Basta pensare alla grande disciplina con cui Samsung Electronics si avvicina ai nuovi settori merceologici. Come in altri grandi conglomerati coreani, per esempio LG e Hyundai, si comincia dalle piccole cose: il primo passo è produrre un componente chiave per il settore che si vuole conquistare. Meglio se il componente è molto costoso da produrre, perché ci sono forti barriere all’entrata che contribuiscono a limitare la concorrenza. I microprocessori e i chip di memoria sono l’ideale.

“Un impianto per la produzione di semiconduttori costa tra i due e i tre miliardi di dollari, e non puoi costruire metà impianto”, dice Lee Keon-hyok, direttore della comunicazione internazionale della Samsung. “O ce l’hai o non ce l’hai”. Una volta creata l’infrastruttura, Samsung comincia a vendere i suoi componenti alle altre aziende. Questo le permette di capire dall’interno come funziona il settore. Quando Samsung decide di espandersi e di cominciare a competere con le imprese di cui è fornitrice, fa grandi investimenti in impianti e tecnologie, fino a ritagliarsi una posizione che i concorrenti non hanno nessuna possibilità di contrastare. Nel 2012 Samsung Electronics ha destinato 21,5 miliardi di dollari alle spese per investimenti, più del doppio di Apple. “Samsung scommette forte sulle tecnologie”, dice Newman. “Studiano il problema a fondo e poi si giocano l’intera posta”. Nel 1991 l’azienda ha cominciato a produrre pannelli LCD e a venderli ad altri marchi. Nel 1994 si è messa a produrre memorie flash per dispositivi come iPod e smartphone. Oggi è il primo produttore di televisori LCD e vende più memorie flash e schede RAM di qualsiasi altra azienda.

Nel 2012 è diventata il più grande costruttore di cellulari al mondo, superando Nokia. Nel frattempo gli altri sono crollati, spesso rovinosamente. Motorola si è scissa e la divisione telefonica è stata venduta a Google. Nokia ha visto erodere la sua leadership, perché si è fatta cogliere impreparata dal fenomeno degli smartphone. La partnership Sony-Ericsson si è dissolta. Palm è scomparsa ed è stata assorbita dalla Hewlett-Packard. RIM, l’azienda che produce il BlackBerry, è sotto costante osservazione ed è come se le avessero confiscato la cintura e i lacci delle scarpe per impedire che si suicidi. Nel campo della telefonia e dei dispositivi mobili oggi ci sono solo Apple, Samsung e una serie di marchi disperati che faticano a emergere dalla massa indistinta degli ‘altri‘.

IFA Consumer Electronics Fair Preview

Lee Byun-chull, il padre di Lee Kun-hee, fondò la Samsung nel 1938. Il nome evoca le ‘tre stelle’ che compaiono nel vecchio logo dell’azienda. Lee Kun-hee è diventato presidente nel 1987, un anno dopo la scomparsa del padre (Lee Jae-yong, il figlio di Lee Kun-hee, è l’attuale vicepresidente e l’erede designato). Sotto la leadership di Lee Samsung è andata bene fin dal primo momento. “Tra il 1988 e il 1993 è cresciuta di due volte e mezza”, dice Shin Tae-gyun, presidente del centro per lo sviluppo delle risorse umane. “Per questo la dirigenza ha ritenuto che le cose funzionassero”. Ma nei progetti di Lee la Samsung non doveva accontentarsi di essere un’azienda coreana di successo. Doveva diventare una realtà mondiale, al livello della General Electric, della Procter & Gamble e della IBM. Il presidente si era dato perfino una scadenza: il 2000. “Non era tanto lontano”, dice Shin. “A quel tasso di crescita saremmo stati capaci di diventare un’azienda di livello mondiale in tempo? La risposta era no”.

Per rendersi conto di come stava andando l’azienda all’estero, nel 1993 Lee partì per un tour mondiale. La situazione non era incoraggiante: a febbraio, in un negozio di elettronica nel sud della California, in vetrina c’erano solo televisori Sony e Panasonic, mentre quelli Samsung prendevano polvere su uno scafale in fondo al negozio. Lee non era contento. A giugno era in Germania, al Falkenstein Grand Kempinski Hotel di Francoforte. Di punto in bianco fece chiamare tutti i dirigenti della Samsung, centinaia di persone, e li convocò all’albergo. “A un suo schiocco di dita si presentarono tutti”, racconta il capo della comunicazione Lee Keon-hyok. Il 7 giugno il presidente cominciò il suo discorso, che sarebbe durato tre giorni (la seduta veniva sospesa la sera). Il passaggio più celebre fu: “Cambiate tutto tranne moglie e figli”. Oggi per la gente Samsung queste parole equivalgono al kennedyano “non chiedetevi cosa può fare il paese per voi”. L’episodio è passato formalmente alla storia come la Dichiarazione di Francoforte del 1993, con tutta l’enfasi da Nazioni Unite che il nome comporta.

L’oggetto della Dichiarazione di Francoforte è il cosiddetto new management, i cui princìpi sono condensati in un volume di duecento pagine che viene distribuito a tutti i dipendenti di Samsung. In un secondo momento è stato pubblicato un glossario che definisce la terminologia usata nel documento originale. Per i lavoratori non completamente scolarizzati ne è stata realizzata una versione a fumetti. Lee è andato a difondere il suo vangelo in ogni angolo dell’impero Samsung. “Ha fatto un sacco di discorsi”, racconta Shin. “Per un totale di 350 ore. Li abbiamo trascritti. Ci sono volute 8.500 pagine”. E così, a pochi metri dalla New management hall, nel centro per le risorse umane di Yongin, c’è la venerata Frankfurt room. Una guida fa orgogliosamente notare che tutti gli oggetti della sala, comprese le sedie, l’anonimo copritavola rosa e un dipinto di Venezia, sono quelli originali della stanza del Kempinski, dove Lee fece la sua celebre dichiarazione. Samsung ha fatto portare tutti i mobili in Corea e ha riprodotto la sala in ogni minimo particolare.

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l New management è incentrato su una serie di slogan fondamentali: “promuovere l’individuo” e “il cambiamento comincia da me” sono espressioni che si sentono ripetere spesso. Ma è soprattutto incentrato sul controllo di qualità o quality management, come lo chiamano in azienda. Il tutto è esemplificato da un altro luogo sacro della Samsung, il complesso Gumi, a circa 250 chilometri da Seoul. Gumi è il principale impianto di produzione degli smartphone Samsung ed è la fabbrica dove il gruppo sudcoreano ha realizzato il suo primo telefono cellulare: l’Sh-100, un aggeggio mastodontico, simile al Motorola Dyna Tac, reso celebre da Gordon Gekko, il protagonista di Wall street. La prima cosa che si nota arrivando a Gumi è il K-pop. All’esterno c’è il sottofondo costante della musica pop coreana, diffusa attraverso casse camuffate da sassi. Le melodie sono orecchiabili e il ritmo è cadenzato e rilassante come in una canzone degli Swing Out Sister del 1988. La musica, spiega una portavoce dell’azienda, viene scelta da un team di psicologi per ridurre lo stress tra i dipendenti.

A Gumi ci sono più di diecimila operai, in grande maggioranza donne di poco più di vent’anni. Come tutte le ventenni si spostano in gruppo, spesso con la testa china sul telefono. Indossano giacche rosa o blu, in base al gusto personale. Molti dipendenti non sposati vivono a Gumi in dormitori provvisti di sale da pranzo, palestre, biblioteche e bar. Il caffè è di fondamentale importanza in Corea, e il coffee shop del campus di Gumi ha addirittura la macchina per la tostatura. All’interno l’ambiente è sorprendentemente caldo e umido. La fabbrica fa parte di una rete di impianti sparsi in tutto il mondo che nel 2012 hanno sfornato complessivamente quattrocento milioni di telefoni, cioè dodici telefoni al secondo. A Gumi gli operai non lavorano in catena di montaggio: la produzione avviene su base ‘cellulare’, con ogni operaio a un tavolo da lavoro di tre lati con tutti gli attrezzi e l’occorrente a portata di mano. L’operaio è responsabile dell’intero montaggio del telefono. Una serie di postazioni informatiche, disposte lungo tutta l’area di montaggio, sono in grado di estrarre in tempo reale i dati di produzione di qualsiasi impianto Samsung nel mondo. In una sala ci sono le apparecchiature per i test di qualità. Molte macchine hanno delle piccole eliche di plastica posizionate all’altezza degli sfiati dell’aria. “È stata l’idea di un dipendente”, spiega la guida. “È difficile capire da lontano se una macchina è accesa o no. Perciò il collega ha suggerito l’idea delle eliche”. I dipendenti della Samsung ricevono degli incentivi per idee come questa. Si calcola il risparmio sui costi e una parte è restituita al dipendente sotto forma di bonus.

Non sempre questa corsa all’efficienza e all’eccellenza è stata una priorità. Nel 1995 il presidente Lee scoprì che i telefoni cellulari che aveva usato per i regali di capodanno non funzionavano. Furioso, ordinò ai dipendenti di accatastare 150mila telefonini in un terreno fuori dell’impianto di Gumi. Più di duemila dipendenti si radunarono intorno alla pila, che poi fu data alle fiamme. Una volta spento il fuoco, i bulldozer rasero al suolo quello che restava. “Se continuerete a costruire prodotti di bassa qualità come questi tornerò e farò la stessa cosa”, disse il presidente. Da allora la Samsung ha imparato la lezione. Nel maggio del 2012, tre settimane prima della distribuzione del nuovo Galaxy SIII, un cliente ha fatto notare che la copertura posteriore dello smartphone aveva un aspetto più scadente rispetto ai prototipi mostrati ai clienti l’anno prima. “Aveva ragione”, dice DJ Lee, direttore del marketing della Samsung Mobile. “I nuovi modelli non erano altrettanto rainati”. In magazzino c’erano centomila coperture di qualità inferiore, oltre che vari container di apparecchi già assemblati fermi negli aeroporti. Stavolta niente falò: tutte e centomila le coperture, più quelle sui telefoni giacenti negli aeroporti, sono state scartate e sostituite.

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Oltre al Grande falò del 1995, altre due iniziative-simbolo hanno contribuito ad alimentare la scalata di Samsung nel mercato degli smartphone. La prima è stata nel 2009, con la grande scommessa su Android, il sistema operativo di Google per la telefonia mobile. Il primo telefono Android della Samsung si chiamava Galaxy. “Non abbiamo avuto successo con il nostro primo telefonino Android, l’app store era molto limitato”, ricorda DJ Lee. Android era ancora agli inizi ed era nettamente surclassato da iOS, il sistema operativo mobile di Apple. Android, però, aveva il vantaggio di essere un sistema open source e quindi liberamente accessibile a qualsiasi produttore. Nel 2010 Samsung ha lanciato la linea Galaxy S, segnando una seconda svolta: l’uso di schermi più grandi. Lo schermo del Galaxy S era molto più ampio di quello del primo Galaxy e degli altri modelli Android. “Scegliemmo uno schermo di quattro pollici anche se molti dicevano che era troppo grande”, dice DJ Lee. “Ci furono un sacco di discussioni”. Gli schermi più grandi si sarebbero rivelati una carta vincente, e con i Galaxy S II e S III si sarebbero allargati ancora di più. Oggi gli smartphone Samsung vanno da 2,8 a 5 pollici (senza considerare i phablet, che arrivano fino a 5,5 pollici). “Nessuno aveva idea di quale fosse la grandezza giusta, per questo la Samsung le ha provate tutte e ha visto quale funzionava meglio”, osserva Benedict Evans, ricercatore della Enders Analysis.

Produrre una gamma di apparecchi di dimensioni diverse per vedere quale vende di più è una di quelle strategie ad alto costo che molte aziende preferiscono evitare. Ma la capacità di costruire display, memorie, processori e altri componenti high-tech dà a Samsung una flessibilità che la concorrenza può solo sognare. “Dieci anni fa l’ortodossia sosteneva che l’integrazione verticale fosse una cosa del passato”, dice Tero Kuittinen, analista della società di consulenza telefonica Alekstra. “Poi è successo che le uniche due aziende che l’hanno presa sul serio, Samsung e Apple, hanno conquistato l’intero mercato della telefonia mobile”. La politica di Apple prevede pochi modelli dal design impeccabile. Samsung prova tutto e lo fa velocemente. “Quando abbiamo lanciato il Galaxy S III, le nostre ricerche dicevano che per alcuni consumatori in specifici mercati l’apparecchio era troppo grande”, dice DJ Lee. “Per questo abbiamo deciso di realizzare lo stesso telefono con uno schermo di quattro pollici e l’abbiamo chiamato Galaxy S III mini”. Per mettere in produzione il modello più piccolo ci sono voluti sei mesi, racconta Lee. “Osserviamo il mercato e rispondiamo immediatamente”. Il nuovo Galaxy S4 è uscito a soli nove mesi di distanza dal modello precedente. “Samsung ha fatto della differenziazione un’arte”, osserva Michael Gartenberg, analista di Gartner. “Se voglio una via di mezzo tra un iPad e un iPad mini, la Apple non ce l’ha”.

Ma l’integrazione verticale di Apple ha qualcosa che la Samsung non ha: il controllo del software. Il sistema iOS gira solo su smartphone e tablet Apple, e uno dei tratti caratteristici di iPhone e iPad è la perfetta integrazione tra software e hardware. Questo ha dato alla Apple un forte vantaggio sul mercato delle app. Samsung sta provando a rafforzare la sua posizione con l’apertura di un centro di sviluppo software nella Silicon valley. Probabilmente non avrà mai il controllo del sistema operativo che ha Apple. L’azienda sudcoreana, tuttavia, sfrutta in modo altrettanto efficace la sua capacità di produrre tutto e in modo flessibile. Costruisce processori, chip di memoria e fotocamere che vanno a finire non solo nei suoi smartphone ma anche in quelli degli altri, compreso iPhone 5, che monta microprocessori Samsung. La politica dell’azienda prevede una netta separazione tra il settore della componentistica e quello dei set (i prodotti finiti come il Galaxy S4), in modo che la mano destra non sappia quello che fa la sinistra. Chi osserva Samsung da vicino, tuttavia, sa bene che l’azienda ha le idee molto chiare. Per sviluppare una nuova tecnologia ci vuole tempo, in particolare se questa tecnologia è richiesta in grandi volumi. “La conoscenza diretta della catena di approvvigionamento in dalle prime fasi è uno degli elementi che ha permesso all’azienda di avvantaggiarsi sulla concorrenza”, spiega Neil Mawston della Strategy Analytics. “Sono tre anni avanti agli altri”.

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La guerra con Apple è un tema particolarmente sensibile per alcuni clienti della Samsung. Negli Stati Uniti (e non solo) Apple ha fatto causa all’azienda coreana per una serie di violazioni dei brevetti, dalla forma del telefono al modo in cui lo schermo ‘rimbalza’ indietro quando lo scroll arriva a fine corsa. Samsung ha respinto le accuse e a sua volta ha denunciato la Apple. La guerra legale non accenna a placarsi. Apple si è aggiudicata un round nell’agosto del 2012, quando una giuria federale statunitense ha accordato all’azienda di Cupertino un risarcimento per un miliardo di dollari. Il caso adesso è andato in appello, e il giudice ha da poco ridotto l’importo di circa la metà. Comunque vada a inire in tribunale, Samsung non ha certo bisogno di infrangere la legge per sfruttare la sua posizione di azienda fornitrice. La semplice richiesta di un nuovo processore da parte di un cliente produttore è un’informazione preziosa. “Conoscere il piano d’azione di Apple, per esempio, e sapere cosa stanno facendo i concorrenti è molto utile”, osserva Newman della Bernstein. “Non è come copiare e non è contro la legge. Si dà solo il caso che Samsung sappia che nel 2013 la Apple avrà bisogno di un processore quadcore”.

Alla presentazione del Galaxy S4, l’attore di Broadway Will Chase è stato protagonista con alcuni sketch insieme ad attori che impersonavano clienti alle prese con le funzioni dello smartphone in diverse situazioni. Sul palco si sono alternati scenari elaborati che riproducevano una scuola, Parigi e il Brasile. C’era un’orchestra su una piattaforma mobile idraulica. Un bambino ha ballato il tip tap. Uno spettacolo apparentemente inspiegabile, se non come metafora della filosofia del ‘provare tutto’ applicata al mercato della telefonia mobile. “Samsung produce ogni genere di apparecchio in ogni mercato, in tutte le dimensioni e a tutti i prezzi”, dice Evans. “Non si fermano a pensare. Semplicemente producono più telefoni”. Il nuovo Galaxy S4 è veloce, ha uno schermo grande e luminoso e con ogni probabilità sarà un altro enorme successo per Samsung. E lo stesso succederà per il Galaxy S4 mini, che andrà in vendita tra poco. Eppure, quando si parla del futuro immediato dell’azienda, il capo della comunicazione Lee Keon-hyok non tradisce il minimo trionfalismo. Sa benissimo che è contro i princìpi del new management compiacersi del successo del momento. “Il 2010 è stato un grande anno”, dice nel suo ufficio al 35° piano di un grattacielo di Seoul. “La risposta del presidente? ‘I nostri settori d’affari più importanti possono scomparire nel giro di dieci anni’”. Magari la Samsung diventerà talmente grande che il governo coreano deciderà di aumentare i controlli. Magari gli iPhone 6, 7 e 8 saranno talmente belli e irresistibili da sbaragliare la concorrenza. Neanche il presidente Lee ha la risposta.

Lo scenario più plausibile è che un’altra azienda, magari cinese, farà con la concorrenza quello che ha fatto la Samsung in questi anni. “I cinesi sembrano la Samsung di cinque anni fa”, dice Horace Dediu, analista indipendente del settore della telefonia mobile che vede in Huawei e ZTE la concorrenza più agguerrita (altri parlano di Lenovo). “Samsung guadagna meno su ogni smartphone rispetto alla Apple”, continua Dediu. “I cinesi ancora meno. Se lo smartphone sta per diventare un bene di uso comune, come farà la Samsung a giocare questa partita?”. Anche secondo Lee Keon-hyok gli smartphone diventeranno di uso comune come i PC negli anni novanta. “Ma bisogna sempre ricordare che noi produciamo un sacco di pezzi”, dice. “La forma potrà cambiare, ma i telefoni avranno sempre display, memorie e processori Amoled. Siamo preparati ad afrontare questi cambiamenti”. Amoled sta per ‘diodo organico a emissione di luce a matrice attiva’. È la tecnologia più avanzata nel campo dei display e forse l’unica a cui sia stata dedicata una canzone K-pop. Amoled è il titolo di un pezzo orecchiabile di Son Dambi and After School. Quando il mercato della telefonia mobile non sarà più redditizio, Samsung dovrà entrare in qualche altro settore che richiede grandi capitali ed esperienza nella produzione in serie. Alla fine del 2011 l’azienda ha annunciato che investirà venti miliardi di dollari entro il 2020 per sviluppare competenze in apparecchiature mediche, pannelli solari, illuminazione LED, biotecnologie e batterie per auto elettriche. E se le batterie o le macchine per la risonanza magnetica di Samsung non conquisteranno il mercato, magari il presidente ne farà una pila e le darà alle fiamme. “Il presidente lo ripete continuamente, ‘Questa è la crisi perpetua’”, dice il direttore del marketing DJ Lee. “Siamo in pericolo. Siamo a rischio”.

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