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Datagate: le società informatiche erano pagate dalla NSA

Il The Guardian è un fiume in piena, il quale ogni settimana scova interessanti rivelazioni sul caso Datagate. Le ultime notizie riguardano i metodi con cui la National Security Agency e le società hi-tech si accordavano per monitorare gli utenti.

La relazione tra le aziende e la NSA era, e molto probabilmente lo è ancora, molto più stretta di quanto dichiarato dalle controparti. Infatti la collaborazione non si basava sul semplice scambio di ‘favori’ ma bensì su ingenti somme di denaro, che venivano proposte alle società per convincerle sul passaggio dei dati privati di tutti gli utenti.

Stando ai nuovi documenti ottenuti dal giornale tramite il leaker Edward Snowden, l’agenzia avrebbe pagato milioni di dollari alle aziende coinvolte nel programma PRISM, garantendosi così un accesso dedicato ai server di Google, Facebook, Microsoft, Apple, Yahoo e altri giganti del web, per proteggerle da problemi legali insorti nel rinnovo delle autorizzazioni concesse dalla Foreign Intelligence Survellaince Court, il tribunale americano per la tutela della privacy.

Edward-Snowden

La FISA è un organo molto importante per gli Stati Uniti d’America e le decisioni che vengono prese sono insindacabili, e generalmente favorevoli alla NSA, anch’esso stimato organo americano, che quindi gode della fiducia cieca di tutti. Nell’ottobre del 2011 però le cose sono cambiate e lo spionaggio della NSA è stato dichiarato per alcuni versi incostituzionale. Questa decisione è però rimasta sepolta negli archivi della FISA, almeno sino a Mercoledì, quando è stata declassificata dall’amministrazione Obama. Perciò, racconta il The Guardian, il monitoraggio del web è ripartito, ma sembra solo in via temporanea.

Naturalmente dopo lo scandalo avvenuto, la NSA ha iniziato ad ingegnarsi per cercare di camuffare questo suo spionaggio, ma nel frattempo le società della Silicon Valley hanno chiesto un rimborso, non solo per ripagare i provider dei costi in cui incorrono per difendersi, ma anche per l’immagine delle società. A tal punto però nasce un piccolo problema: che molte società si sono chiamate fuori da questo scandalo, definendosi innocenti e all’oscuro del progetto PRISM. Tra queste troviamo Facebook, su cui molti riflettori sono puntati, visto che custodisce i dati di un miliardo e mezzo di persone in tutto il mondo.

Il social network di Mark Zuckerberg ha quindi dichiarato:

“Non abbiamo mai ricevuto alcun rimborso relativo a richieste di dati da parte del governo, non siamo e non siamo mai stati parte di qualsiasi programma USA o non che abbia dato accesso diretto ai server e, come abbiamo detto più volte, non abbiamo neppure mai sentito del cosiddetto programma PRISM fino a che non è stato divulgato dagli organi di informazione. Riteniamo che la continua disinformazione su questa materia da parte del The Guardian sia preoccupante e potrebbe mettere in pericolo molte aziende”.

Non sono mancate nemmeno le parole di Google, molto simili a quelle di Facebook, che ha affermato di non essere a conoscenza del progetto di monitoraggio che gli americani e il mondo stava subendo e ha ribadito di attendere l’autorizzazione per poter disporre di un numero maggiore di informazioni relative alle richieste del governo in materia di dati, dati che mostrerebbero secondo la società di Mountain View, come l’azienda si muova all’interno di parametri di legge e collabori in maniera molto più limitata di quanto dichiarato dai giornali.

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