La questione Kojima-Konami, della quale vi parlammo qualche tempo fa in questo articolo, pare abbia avuto, negli ultimi tempi, dei risvolti particolarmente degni di nota. Grazie a un articolo pubblicato dalla rivista giapponese Nikkei, infatti, opportunamente tradotto da un utente del forum NeoGAF, sono stati svelati degli interessanti retroscena sul rapporto altalenante tra lo storico game designer, padre della saga di Metal Gear Solid, Hideo Kojima, e la nota software house nipponica Konami.
Le motivazioni, a quanto pare, dovrebbero essere innanzitutto di natura prettamente economica. Secondo quanto riportato dalla rivista giapponese, i rapporti tra Hideo Kojima e la società si sarebbero incrinati a causa del carattere troppo perfezionista del game designer giapponese: Kojima Productions, il team di sviluppo al lavoro su Metal Gear Solid V: The Phantom Pain, ha infatti rimandato più e più volte la consegna del prodotto finito e il budget inizialmente previsto ha raggiunto la notevole cifra di 80 milioni di dollari. Del resto Kojima stesso l’aveva già detto: il suo desiderio era quello di dare vita al capitolo di MGS più bello, più grande e più completo di sempre, e per fare ciò, ovviamente, c’è bisogno di tempo e denaro. Tutto ciò è anche stato confermato da Rika Muranaka, storica compositrice della serie Metal Gear Solid, la quale ha parlato proprio di motivazioni economiche alla base dei problemi sorti tra le due parti. Ma questa è stato solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Era già da diverso tempo che Kojima non vedeva di buon occhio la politica di marketing e il comportamento di Konami, soprattutto nei confronti dei suoi dipendenti.
L’idea di Konami, negli ultimi tempi, sarebbe infatti quella di puntare molto sui titoli low budget che però possano fruttare parecchi introiti: passare ai titoli social e mobile, molto meno costosi e particolarmente remunerativi. È poi emerso che Kojima Productions, ora nominata “Number 8 Production Department” abbia ricevuto nel corso degli ultimi tempi un trattamento “poco dignitoso”. Tutti i membri del team non hanno più accesso a Internet, per comunicare tra loro sono costretti ad utilizzare un sistema di messaggistica interno e pare che buona parte di essi non abbia una mail relativa alla compagnia, ma abbia degli indirizzi generati casualmente che vengono cambiati periodicamente. Ma la situazione, a seguire, assume dei toni sempre più grotteschi, ricordando un po’ la società distopica dipinta da George Orwell nel romanzo “1984”: telecamere situate negli uffici e nei corridoi sorvegliano i movimenti di ogni singolo dipendente, le pause pranzo sono ridotte ai minimi termini e chi effettua una pausa troppo lunga viene nominato pubblicamente e, nel peggiore dei casi, licenziato. La compagnia, inoltre, sembra non si faccia problemi a cacciare o riassegnare ad altri ruoli minori il personale ritenuto incapace di svolgere il proprio lavoro: producer di grossi titoli si sono trovati a rivestire il compito guardie di sicurezza, o addirittura di produrre le macchine da pachinko. A tal proposito, citiamo un episodio che ci illustra nel dettaglio la triste situazione: Asahi News ha riportato che un ex dipendente Konami dai team di sviluppo è stato riassegnato ai lavori sui pachinko. A causa di ciò, l’uomo sarebbe caduto in una grave crisi di depressione che l’ha successivamente portato a lasciare la compagnia. Dopo aver annunciato su Facebook il suo addio a Konami, molti suoi ex colleghi l’hanno sostenuto cliccando il tasto “Mi piace” sull’intervento in questione e, rei di aver commesso tale gesto, sono stati ripresi e riassegnati a nuove mansioni.
Questa è la realtà, secondo quanto emerso da Nikkei e da Asahi News. Ovviamente si tratta solamente di informazioni costruite in base ad alcune dichiarazioni, ma non sono arrivate conferme ufficiali da parte della società in questione, di conseguenza vi consigliamo di prendere tali notizie con le proverbiali pinze. Che sia veramente l’inizio di una pseudo-dittatura all’interno di Konami?