Quando nel 1995 arrivò nelle giovanili del Bayern Monaco, pochi credevano nella sua strepitosa carriera. Forse nessuno. Troppo piccolo (solo 170 centimetri di altezza) e con il viso troppo da bravo ragazzo. Invece qualcuno fiutò in lui i tratti del campione. Piedi ottimi, grande senso del gioco ma soprattutto una propensione innata al sacrifico e alla corsa. In quel periodo di grande crisi in Bundesliga, Lahm sembrava quasi un dono divino piovuto per caso dal cielo. I primi alle allenatori nel Gern Jungern, restarono stupefatti per la sua serietà e per la sua incredibile corsa.
La Leggenda – VIDEO
Il giovane Lahm infatti, ha recepito fin da subito i consigli di nonno Hermann, che da piccolo lo mandava ad aiutare i vicini di casa nel quartiere di Gern, per aiutarli nelle quotidiane faccende domestiche. E per non fare tardi quando diventava buio, si metteva a correre più forte che poteva per tornare a casa dai nonni. Corsa, aiuto e sacrificio. Non solo la carriera, ma anche la vita di Philipp Lahm è stata fondata su tre precisi capisaldi.
“Il nostro sport ha bisogno di attaccanti letali, marcatori, eroi. Ma il calcio è molto più del momento del trionfo. Il calcio è lavoro di squadra, unità, difesa, assist e sacrificio”. (Philipp Lahm)
Una storia vincente – Uno così ci mette poco a rubare l’occhio di un allenatore. Sarà per questo che a 12 anni Lahm entra nel Bayern (preferirlo ai cugini del 1860) per non uscirne più. E’ tanto basso ed esile quanto abile col pallone, eccezionale in marcatura e rapido nelle scelte già in tenera età. Qualità che gli hanno fatto intraprendere un percorso che lo porta a giocare in ogni formazione giovanile del Bayern, rigorosamente da titolare e da laterale destro. Nel 2002, dopo essere arrivato riserva in prima squadra ed aver esordito anche in Champions contro il Lens, decide di andarsi a fare le ossa a Stoccarda. Un prestito secco di due anni che farà diventare Lahm un calciatore completo. Sotto al guida di Felix Magath imparerà a giocare come terzino sinistro ma soprattutto è li che svilupperà la sua anima di leader silenzioso. Un leader tedesco al 100%, poco incline alla vita pubblica, al gossip o alle parole, ma efficace come pochi nello spronare i compagni di squadra e nel risolvere situazioni complicate. La Germania inizia ad accorgersi di lui, e non solo a livello calcistico. Lahm in quel momento rappresenta il meglio che il malandato calcio tedesco possa offrire, per questo l’ex ct Rudi Voeller non solo lo convoca in nazionale ma a soli 21 anni gli affida la fascia sinistra fin dalla prima chiamata. E lui se la prende, così come nella stessa estate si riprese la maglia del Bayern Monaco nonostante un brutto infortunio in successione a piede e ginocchio.
Il piccolo Gigante – VIDEO
Nel 2006 segnò il primo gol del Mondiale tedesco del 2006, dimostrando di essere guarito e di essere davvero quel talento che tutti conoscevano ma che tutti sussurravano a bassa voce. Da quel momento in poi Lahm diventa il capostipite della nuova generazione di calcio della Germania, una generazione fatta di tecnica, corsa, talento e corsa. Nonostante sia giovanissimo farà chioccia ai varo Ozil, Reus, Schweinsteiger, Kroos, Neuer, e Boateng. Cominciano ad arrivare i successi personali con il Bayern Monaco (8 campionati), comprese le sconfitte, come quelle terribili del 2010 quando Lahm perde una finale Champions e una semifinale Mondiale nel giro di due mesi. Ne perse un’altra anche nel 2012, ma senza mai batter ciglio. E sapete perchè? Perché uno capace di fare una carceriera così meravigliosa, ha risposto così a chi gli chiedeva come si fosse ripreso dopo le sconfitte: “Come mi sono ripreso dopo le sconfitte del 2010? Non avevo niente da cui riprendermi. Nel calcio vinci o perdi. E io quell’estate in fondo ho anche vinto, sposando la mia fidanzata Claudia Schattenberg. Sì, il 2010 è stata una gran bell’annata”. Chapeau. Nel 2013 arriva finalmente l’alloro europeo con il Bayern e poi nel 2014 il cerchio si completa con la vittoria del Mondiale brasiliano. Una rincorsa, tutta di un fiato, che ha portato Lahm ad essere inserito per 10 anni consecutivi nella classifica FIFA dei miglior calciatori dell’anno. Il tutto, sempre senza disturbare. Ma la sua anima da guerriero, non è mai mancata.
Lahm nel sistema del Bayern e della nazionale tedesca è a dir poco fondamentale: è il collante fra tre reparti, guida i compagni con esempio e parole ed è di una banalità ricercata ma geniale in conferenza stampa. Ben consapevole dei propri mezzi così come dell’arroganza dei connazionali, ha sempre preferito agire da pompiere più che leader incendiario. Di un’intelligenza finissima, di lui non si ricordano frasi minimamente pungenti: quelle le ha sempre tenute per lo spogliatoio.
Una nuova vita – Eppure a 31 anni, uno così può ancora dare molto. Nel 2013 arriva Guardiola e il tecnico spagnolo decide di dargli una “nuova vita calcistica”. Bloccato nella sua specializzazione di terzino destro o sinistro, l’impressione è che non venisse completamente sfruttato. Se ne accorge proprio l’ex allenatore del Barça, che non esita a schierarlo come interno o perfino esterno di un centrocampo a 5 in fase di possesso palla. Nonostante le prestanza fisica sia calata, l’apporto di Lahm rimane tatticamente imprescindibile. Da quella induzione ne prende spunto anche il tecnico Loew, che nel mondiale brasiliano lo schiera a centrocampo dandogli un ruolo da regista difensivo che nessun altro dei suoi uomini sapeva fare. Dopo aver alzato la Coppa del Mondo (“l’obiettivo di una vita”), Lahm lascia la Nazionale per dedicarsi solamente al Bayern. Perché? Se Philipp non può dare il 100% nella vita, allora si tira indietro. Per lui anche il 90% è poco. Si punta sempre al massimo, si ragiona solamente per massimi livelli. Così la nazionale perde uno dei suoi più grandi interpreti in tutta la storia tedesca. Al Bayern continua però con la veste del doppio ruolo, fino ad una sera di febbraio del 2017 in cui annuncia al mondo intero la sua voglia di dire basta. Il motivo è sempre lo stesso, nonostante abbia appena 33 anni. Se non può dare il 100%, meglio dire basta. Meglio godersi la vita insieme a sua moglie Claudia, meglio uscire per un momento dal mondo calcio. Lahm ha solcato le vette più alte del mondo praticando solamente la strada del lavoro e del sacrificio. In un mondo fatto di luci e colori dove vince l’apparire, Lahm è stato l’anti divo. Ma questo non gli ha permesso di diventare un mito. Non gli ha permesso di essere una guida per i più giovani, un esempio per almeno altre tre generazioni a seguire.
“Amo il calcio, mi ha dato molto, ma prima o poi arriva la fine. Voglio essere io a decidere quando. Nel mio modo di essere capitano bisogna dare sempre tutto e questo posso garantirlo fino a fine stagione, non oltre”
Così Lahm rifiuta anche (almeno per il momento) il ruolo di futuro DS del Bayern, convinto di aver bisogno di prendere una boccata di ossigeno dopo oltre 700 partite da professionista e 20 titoli personali. Se ne va il più forte calciatore del Bayern degli ultimi 20 anni. Quello che più si avvicina al Kaiser Beckenbauer. Se ne va un giocatore insostituibile fuori e dentro al campo. In un post pubblicato su Facebook, ha chiesto quasi scusa per il suo gesto, credendo un po’ di pace per riflettere in silenzio. Si il silenzio, quello che contraddistinto ogni sua giornata. Il silenzio a volte vale più di mille parole e con lui anche di più. Non ce ne vogliano gli altri. Di calciatori così ne nascono al massimo due in un secolo.