C’era una volta la Juventus. C’erano una volta gli juventini. Dalla finale di Berlino alla partita del San Paolo sembrano trascorsi anni, eppure c’è di mezzo solo un’estate. C’era un gruppo solido, un ingranaggio perfetto, buone erano le intenzioni, concretamente corrispondenti le azioni. C’era uno stadio, nato sotto il segno del “tutto esaurito”, un tempio di imbattibilità. C’era una storia d’amore, un eterno “fino alla fine”.
Come possono tre mesi cancellare completamente tutto questo? Come può una macchina così funzionante perdere pezzi da tutte le partI? Pezzi assemblati con quattro anni di vittorie, tenuti insieme da una dirigenza impeccabile, sorretti da un pubblico senza rivali. Non si stanno facendo i conti solo con una stagione iniziata male, ma con un dna che si sta sgretolando partita dopo partita. Non si sta parlando solo di numeri implacabili, di un grandissimo record negativo, ma di un qualcosa che c’era in un vicinissimo presente, e adesso non c’è più.
Ci hanno sempre insegnato che la storia non la fanno i “se”, non la fanno i “ma”, che tutti leggiamo di un passato fatto di eventi realizzati. La frustrazione che accompagna ogni rimpianto, sta però caratterizzando le giornate della Juventus: troppi i “ma”, tantissimi i “se”, con tutti gli errori che ne derivano e di cui si pagano, prima o poi, le conseguenze.
Le scelte della società stanno portando alla costruzione di un gruppo per il futuro, dato il notevole investimento fatto sui giovani, ma quanto incassato grazie a una stagione fenomenale avrebbe dovuto coprire prima di tutto i vuoti di talento che di fatto sono rimasti e che stanno compromettendo la stagione attuale. Non sarebbe certamente giusto confondere questo momento di allarme con il fallimento di un progetto che, a lungo termine, avrà certamente una sua coerenza. Il presente però ha delle scadenze diventate imprescindibili e se il mercato fosse stato gestito diversamente forse adesso sarebbero altre le considerazioni da fare e lo stesso allenatore avrebbe avuto il materiale desiderato su cui lavorare. Scelte che di fatto rendono la società più debole, e che creano un forte alibi alla mancanza di risultati.
La possibile contaminazione con la squadra costruita da Conte è definitivamente svanita, e allo stesso tempo l’impressione è quella che Allegri non possa creare quanto sperato, non è davvero la sua Juve 2.0.
Ma se è vero che la fallimentare campagna acquisti e la situazione infortuni stanno di fatto pregiudicando la sua idea di squadra, è altrettanto vero che quando le cose precipitano il primo a risollevare le sorti deve essere proprio l’allenatore. Se le idee fossero più chiare la squadra avrebbe raccolto di più del misero bottino che si ritrova, soprattutto nelle partite casalinghe. Difficile comprendere le scelte di formazione, il posizionamento dei giocatori in campo, i cambi di modulo in corsa, i turnover. A fine settembre non è ancora chiaro quale sia il sistema di gioco, quali siano le fondamenta della squadra tipo. La varietà di soluzioni, considerata al’inizio della stagione come un’arma vincente, si sta rivelando un boomerang: tante soluzioni, nessuna valida.
La Juve vive di sprazzi di improvvisazione: in una confusione come questa i giovani si smarriscono senza punti di riferimento, i “vecchi” non possono bastare, i mediocri non reggono peggiorando la situazione. Se la squadra non avesse perso in termini di leadership e personalità, la situazione nello spogliatoio, prima ancora che in campo, sarebbe sicuramente diversa: dopo un mese di campionato non c’è stata ancora una vera reazione di orgoglio. Come si può ripartire davvero se gli stessi giocatori non credono e non si impegnano nella risalita.
I “se” i “ma” non scrivono la storia, eppure ne invertono il corso, modificando gli eventi, creando crocevia, formando percorsi inattesi. I “se” i “ma” stanno compromettendo un’annata, di transizione sì, ma più dura del previsto. Non aiuta la nostalgia, il guardarsi indietro, non aiuta nemmeno sperare nel futuro. C’era una volta la Juventus, quella della finale di Berlino, quella che entusiasma, quella che piace a tutti. E adesso no. C’è una Juve nuova, e ci sarà un nuovo corso, senza i risultati sperati. C’è un lavoro da compiere: ripartire. Da questi giorni di allenamenti, dal faccia a faccia con la dirigenza, dal cammino in Europa. Dal basso: lo scontro con il Bologna considerato una vera prova del nove la dice lunga sulla situazione attuale, non esistono avversari più temibili degli altri, non esistono partite più importanti di altre.
Costruire grazie al gruppo: in un coro in cui cantano solo solisti non c’è armonia: non manca certo l’impegno, non manca la rosa, ma bisogna creare tutto il resto. Niente più confronti col passato la Juve deve debellare il virus dell’abbandono è l’unica cura possibile è la vittoria. Inutile, dunque, guardare al passato, inutile guardare al futuro: accantonare il discorso scudetto senza abbandonarlo, vincere da subito per colmare un divario troppo pesante, tornare a guardare la classifica quando lo si potrà fare con serenità, senza tutta questa pressione. Fa sorridere accostare il progetto di proseguire collezionando tre punti alla volta ad una squadra come la Juventus, ma quando l’infallibilità crolla i tempi si accorciano, le soluzioni diventano più spicciole e concrete. Nessuno è bocciato, nessuno però è promosso. Tutti devono uscire dal limbo e tornare nel vivo della battaglia. C’era una volta la Juventus, e per tutti deve tornare ad esserci, ancora.