Non è semplice scrivere in una vigilia così importante. Tante, troppe le sensazioni che si stanno accumulando nella testa, nella pancia, nel cuore. Condividerle forse è l’antidoto più efficace per alleggerire le tensioni ed esorcizzare le paure.
Il mio viaggio verso Berlino è pieno di paure, ma è fatto di speranze che crescono ogni giorno di più, nutrite dai ricordi. Perché il mio viaggio verso Berlino è fatto anche di tutte quelle partite che ci hanno permesso di raggiungere un traguardo che mancava da troppi anni. È fatto di anni in cui questo sogno è stato vicinissimo, di anni in cui è stato vissuto, raggiunto, di anni in cui si è dissolto. Gli anni di altrettante finali, quelle che i miei coetanei non possono ricordare, quelle che tutti stanno cercando di dimenticare.
Sono bellissimi i racconti di tanti papà, degli anni in cui le trasferte erano avventurose e certamente più affascinanti: in macchina fino a Belgrado per dire “Io c’ero!”. Sono tristissimi, in quelle case, in cui si ricorda un pericolo scampato, l’impotenza di fronte le immagini che scorrono in tv: racconti che nessuno può cancellare, in una notte in cui l’aspetto sportivo ha lasciato tragicamente il posto al dramma di 39 morti, in una notte che ancora oggi è una ferita aperta.
Sono anche i miei, se ritorno alla magica serata di Roma, ai miei 12 anni, alla prima ed unica Coppa dei Campioni del mio essere tifosa, alle stelle sulla maglia blu, a quel “Domani puoi anche non andare a scuola!” premio alla mia costanza, alle dita incrociate davanti alla tv. I racconti sono anche i miei, perché le ricordo tutte le successive tre finali maledette: nell’era Lippi la Juventus ha mancato tre volte l’appuntamento con la coppa, sempre da favorita.
L’ultima, la più recente, il mio ricordo più vicino, quando mancavano pochi giorni alla mia maturità: e nessuno di noi dimenticherà mai le lacrime di Nedved, triste sfondo di una vittoria rossonera. Il racconto di una finale speciale, perché tutta italiana, crudele perché senza scampo: non si può nemmeno nascondersi, quando i festeggiamenti ce li hai dentro casa. Da quel giorno ci sono stati così tanti eventi che hanno più volte cambiato il destino della Juventus, e che hanno cambiato il mio modo di vedere il calcio, di seguirlo, di parlarne.
Nella storia della juve c’è tutto: i trionfi, i successi, le cadute e le risalite. E il teatro dei sogni di berlino può essere la svolta definitiva per il futuro
Facendo i conti con una visione più ampia, partendo dalla consapevolezza di ciò che la Juve rappresenta; ascoltando giudizi che mai cambieranno, luoghi comuni che provengono da copioni recitati a memoria. Ma sono sicura di poter parlare per tutti nel dire che la nostra abitudine alla vittoria non rende meno emozionante un evento straordinario, e che non ci si abitua davvero mai ad una gioia simile: ogni volta nuova, ogni volta diversa. Il desiderio, la voglia sono vividi oggi come ieri, e mi aiutano a superare la paura.
Dopo la festa scudetto appena smaltita, questa finale sarà, in ogni caso, la consacrazione alta e definitiva del lavoro di un gruppo, di una squadra che sta entrando indiscutibilmente nella storia recente del calcio. E, in ogni caso, non si può far altro che festeggiarla.
L’avversario, questa volta, ci obbliga all’angolo degli sfavoriti. Contro una classe di marziani che gioca alla perfezione, sarà necessario lavorare sull’atteggiamento, sul “perché” prima che sul “come” affrontare a viso aperto questa partita. Sarà necessario rispondere colpo su colpo, compatti e organizzati.
Solo così saranno molte le paure ma altrettante le speranze. È difficile quando ogni pronostico è contrario, ma credere in questa vittoria è un atto di fede. Tutti abbiamo il dovere di credere nell’impresa che ci consegnerà alla storia. E io voglia viverla così questa finale, la prima dei miei anni da adulta, la finale della rinascita, di un valore ritrovato, di un orgoglio che va onorato. Nei miei ricordi ci sarà, in ogni caso, comunque vada: chi può vantare una valigia così bella?