Il sito americano The Verge ha pubblicato in esclusiva il contratto che Spotify ha stipulato con Sony Music nel 2011 per poter offrire in streaming buona parte del suo catalogo musicale. Leggendo le 41 pagine che definiscono l’accordo vengono sciolti molti dubbi su come una casa discografica possa guadagnare molto di più con un servizio che fornisce musica in streaming rispetto ai tradizionali download, come quelli offerti da iTunes.
Il PDF del contratto pubblicato da The Verge
Quanto guadagna Spotify?
Analizzandolo, scopriamo che il contratto ha una durata di due anni con un terzo anno opzionale. L’azienda svedese ha dovuto pagare in anticipo 25 milioni di dollari alla casa discografica: 9 milioni di dollari per il primo anno, 16 milioni per il secondo e 17,5 milioni per l’eventuale terzo anno. L’accordo prevede che a Sony Music, major che da sola controlla circa il 30 per cento del mercato musicale, vada il 70 per cento dei ricavi, quindi Spotify trattiene il restante 30 per cento. La divisione dei ricavi non è netta ma stabilita da una formula che tiene conto di diversi fattori come la popolarità di un singolo artista, il numero delle riproduzioni delle sue canzoni, etc…
Quanto guadagna la casa discografica?
Dai ricavi della musica riprodotta con la pubblicità e i servizi in abbonamento mensile, le case discografiche possono ottenere il 60 per cento del totale incassato da Spotify. Quindi su un ipotetico fatturato di 100 milioni di dollari le major percepiscono 60 milioni mentre a Spotify rimangono i restanti 40 milioni. Le singole case discografiche si dividono la somma in base agli streaming riprodotti. Se gli artisti di Sony Music hanno generato il 20 per cento delle riproduzioni la casa discografica si porta a casa 12 milioni di dollari.
Quanto guadagno gli artisti?
È più difficile stabilire quanto guadagna un singolo artista dai ricavi della musica in streaming. Sul contratto stipulato tra Spotify e Sony Music non viene fatto riferimento a come la casa discografica intende dividere i ricavi con gli artisti. Fonti interpellate da The Verge hanno detto che di solito le case discografiche tengono per sé il ricavato senza provvedere a una redistribuzione. Forse questa è la vera motivazione che ha spinto molti artisti a firmare contratti che contenessero particolari clausole per non essere su Spotify o altri servizi di musica in streaming.
Quale futuro per la musica in streaming?
Di fatto, le case discografiche hanno in mano il mercato della musica in streaming. Questo risulta chiaro dal contratto in oggetto. All’evento WWDC 2015 di giugno Apple ufficializzerà il suo nuovo servizio di musica in streaming realizzato grazie all’aiuto di Beats Music, società acquistata a maggio 2014 per 3 miliardi di dollari. L’azienda che con iTunes ha rivoluzionato la musica digitale, marginalizzando i download illegali, potrebbe cambiare le carte in tavola ancora una volta, modificando gli attuali legami tra le case discografiche e i servizi di musica in streaming come Spotify e i rapporti di forza nel settore.
9to5Mac, sito di indiscrezioni sul mondo Apple sempre molto informato e preciso, ha rilanciato la possibilità dell’arrivo da subito della nuova piattaforma per la musica in streaming anche nel mondo Android, in contemporanea con l’uscita della versione iOS. Questo la dice lunga sulla volontà di Apple di immettere sul mercato una soluzione che conquisti rapidamente il proscenio. Con buona pace di Spotify, Deezer e compagnia.