La mano losca e insanguinata della ‘ndrangheta è arrivata fino a Perugia. Da quanto è emerso dalle indagini della Procura distrettuale antimafia, controllavano il territorio da Ponte San Giovanni, servendosi di diverse basi logistiche, come il bar “Apollo 4” e il ristorante “La Piscina”. Gestivano gli affari attraverso estorsioni, incendi dolosi nelle aziende di molti imprenditori, minacce, traffico di stupefacenti, truffe e usura.
61 arresti
La retata dei carabinieri del Ros si è conclusa con 61 arresti in Umbria e in altre città. Sono stati sequestrati beni per oltre 30 milioni di euro. La procura, grazie a questa inchiesta denominata “Quarto passo”, è riuscita a scardinare una presunta filiale del clan di Cirò e Cirò Marina, paesi di origine delle persone finite in manette. Tutto ruota attorno ad un paio di soggetti che si vantavano con le loro vittime di conoscere i capi delle ndrine di Cirò.
Avevano maturato con il tempo un certo grado di indipendenza ma erano ancora saldi i rapporti con la casa madre. Secondo quanto riportato nella corposa ordinanza di custodia cautelare, il gruppo criminale si serviva delle classiche “modalità mafiose” per condizionare le attività imprenditoriali, soprattutto nel settore delle costruzioni.
Siamo della ‘ndrangheta, siamo calabresi
Questo ripetevano i sodali umbri del clan alle loro vittime. Si presentavano da loro offrendo “protezione” da loro stessi. Per convincere i malcapitati imprenditori provocavano incendi e danneggiavano le automobili delle aziende. Lasciavano davanti alle porte degli uffici anche teste mozzate di agnello e benzina.