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L’apocalisse in un clic

La pioggia incombeva sulla strada nera e trafficata, mentre una numerosa quantità di clacson, molti dei quali in lontananza, creavano un susseguirsi di melodie incrociate che potevano richiamare una melodia tecno anni ’90. Era l’ora di punta e le persone erano esauste della giornata di lavoro appena svolta, intenti a lasciare gli uffici, freddi e sporchi, per rinchiudersi nelle case calde e accoglienti. Pochi metri separavano il nostro amico da casa, ma per una sfortunata coincidenza la strada che stava percorrendo, ovvero quella in cui abitava, era così stracolma che quasi poteva richiamare un bicchiere d’acqua pieno fino al bordo. Le automobili si spintonavano per passare, mentre il nostro amico sbuffava in vista di altri minuti da passare nell’abitacolo. Sui finestrini si poteva vedere il solito alone d’umidità che circondava la macchina durante una ricca pioggia, con il quale il nostro amico si cimentava disegnando qualche strano scarabocchio. L’acqua batteva forte sul parabrezza, mentre la strada continuava ad allagarsi e a riempirsi. L’attesa fece venire nel nostro amico la voglia di dare uno sguardo al proprio smartphone, magari per vedere se aveva notifiche o messaggi. Dopo aver preso il dispositivo dall’apertura che vi era vicino l’autoradio, e averlo sbloccato, il dito andò direttamente su un’applicazione nello specifico, che non a caso si trovava nella schermata principale dello stesso cellulare. Il caricamento del piccolo programma fu veloce, forse anche troppo, ma quello che vide dopo diede il via ad un infinità di agonie mentali.

Dall’altra parte dela città, una nostra amica, si preparava a dare da mangiare al proprio figlioletto, di appena tre mesi. Le urla del bambino si facevano sempre più possenti, tanto che la madre dovette abbandonare le proprie faccende domestiche e professionali per accontentarlo. Mise subito un recipiente di plastica pieno di latte all’interno del microonde, impostando la cottura di due minuti. Fece appena in tempo a mettere a posto alcune carte di lavoro che il bambino riprese a pingere, questa volta con il tono delle urla ancora maggiore. Sembrava quasi richiamare l’attenzione per qualcosa che stava accadendo, ma la madre ne era sicura, il bambino voleva mangiare. Riflettendo, infatti, si era dimenticata che l’ultima poppata l’aveva fatta nel corso della mattinata, quindi era lecito che avesse un minimo languorino. Il timer del microonde segnava ancora 30 secondi al termine della cottura, quando la nostra amica decise di accendere il proprio portatile per navigare un po’ in rete e fare due chiacchiere con qualche sua amica. Il computer si accese proprio al suono del termine della cottura che il microonde aveva finalmente terminato. La nostra amica decise di dare la precedenza al computer, visto che il latte era sicuramente troppo caldo per la delicata lingua di un bambino di soli tre mesi, e quindi occorreva raffreddarlo qualche secondo. Con un piccolo mouse a forma di macchinina rosa, la nostra amica decise di spostare in cursore verso quello che era il collegamento preferito più utilizzato. All’improvviso, però, un clic aveva distrutto un tranquillo pomeriggio di metà settembre, tanto che il bambino non riuscì a mettere mano al gustoso e tiepido latte.

Proprio davanti l’appartamento della nostra amica vi era un nostro amico intento a terminare i propri compiti scolastici. I libri erano divenuti quasi una coperta, tanto che per cercare una penna dovette navigare fra questi e spostare masse infinite di carta. La penna non sbucò fuori, ma in compenso riuscì a scovare una matita, vecchia e rimpiccolita dai tanti tagli fatti con il temperino. Una piccola smorfia di soddisfazione lo sfiorò: finalmente stava per scrivere le ultime parole dell’ultimo esercizio assegnatogli e poi si sarebbe potuto concedere la meritata sera davanti ad un videogioco, con accanto anche il proprio portatile aperto a qualsiasi messaggio o notifica. Mentre stava scrivendo la penultima parola, però, la piccola matita si dimostrò fragile quant’era, distruggendosi in minuscoli pezzettini di legno. Probabilmente si trovava sotto la scrivania da qualche anno. Il nostro amico dovette quindi cercare nei meandri bui della propria stanza una penna per scrivere quelle ultime sillabe rimaste. La stanza poteva essere paragonata al deserto del far west poco prima di una battaglia fra pistoleri, silenziosa, polverosa e con un piccolo fischiettio che proveniva dai condizionatori dei vicini di casa. La casa, anche se molto grande, sicuramente non conteneva delle penne, poiché i suoi genitori non erano mai in casa e avevano i loro oggetti da lavoro, quali anche le penne, nei rispettivi uffici. Anche se ve ne erano di penne, il nostro amico non era deciso a cercarle. Decise quindi di lasciar perdere e di passare alla fase del divertimento sfrenato. Subito prese il joystick e accese la console, mentre nel frattempo cercava a tastoni il pulsante per l’accensione del pc. Il computer, forse un po’ vecchiotto, ci mise un po’ ad accendersi, ma finalmente mostrò il desktop. La console era già pronta per far partire la prima gara, quando il cursore sul computer si andò a posare sulla barra di ricerca. Una ulteriore barra, quella della cronologia, però, venne in aiuto e il nostro amico non dovette fare altro che cliccare sull’ultimo sito sito che aveva visto il giorno prima. Dì li in poi tutto cambiò.

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Insieme ai nostri tre amici, anche altre migliaia di persone, che poi diventarono milioni, si collegarono in rete al medesimo indirizzo, convinte di restarvi per una buona parte della serata in cerca di compagnia e, soprattutto, di pettegolezzi fra le foto e gli stati pubblicati. Nel buio della sera tutto sembrava essere sommerso da un silenzio quasi più rumoroso dei clacson che poco prima affollavano le strade. La pioggia continuava a colare sulle finestre e iniziava a formare delle profonde pozze d’acqua. In ogni appartamento le luci erano spente, ma in quasi tutte le finestre si poteva intravedere una piccola luce bianca lampeggiare ripetutamente. Un tipo si affacciò alla finestra, intento ad accendersi una sigaretta, anche se il proprio terrazzo cedeva sempre più all’acqua della pioggia. L’accendino fece fatica sviluppare una fiamma tale da permettere alla sigaretta di fare il proprio lavoro, ma dopo ripetuti tentativi il fumo entrava con tutta la sua potenza nei polmoni del tizio. La tranquillità, e anche un pizzico di stanchezza, non tardò a farsi sentire dopo i primi tiri di tabacco. All’improvviso un rumore scosse la tranquillità tagliandola come un coltello nel burro. Un uomo iniziò ad urlare. Il tizio scattò in piedi dalla paura, immaginando di trovarsi davanti un incidente o qualcosa di simile, ma niente, tutto sembrava tranquillo, a parte gli urli di quest’uomo. Pensando ad uno squilibrato ubriaco, il tizio si risedette e attese che la voce sfumasse nell’oscurità della notte. Purtroppo per lui, però, era solo l’inizio dell’apocalisse.

Mentre la sigaretta del tizio si consumava, altre persone presero d’assalto le strade sottostanti che con voce sempre più alta richiamavano l’attenzione delle persone ancora nelle loro case. Il tempo non smise di peggiorare, e anche una valanga di fulmini e saette iniziarono a colpire le parti più alte della città. Il rumore che scaturivano era assordante, ma non superava quello che le persone in strada stavano facendo urlando. Il tizio non terminò la sigaretta e, in preda al panico, la gettò via senza esitare un istante in più. Non sapeva cosa stava accadendo, ma sicuramente era qualcosa di molto grave. Il sudore inizio a colargli sulla fronte e le mani a tremare dalla paura. In un attimo aveva racimolato alcune cose che potevano servirgli in caso non fosse più tornato in casa nelle prossime ore. Alcuni allarmi iniziarono a suonare, non si capiva bene il perché, ma l’unica cosa che si poteva vedere era l’alternarsi di luci nel buio della notte. In lontananza si potevano vedere orde di persone che arrivavano nella piazza centrale della città, intente a urlare contro qualcosa o qualcuno. Il tizio decise di unirsi frettolosamente a loro, anche se non sapeva bene perché. Mentre chiudeva la porta del proprio appartamento vide uscire dalle porte dei vicini alcune persone che, come lui, erano pronte a riversarsi per strada. Cerco di fermarne alcune, ma non ebbe risposta. Il pianerottolo del palazzo si era trasformato in un gigantesco megafono, che portava le urla delle persone all’esterno ad una tonalità ancora maggiore.

Non ci pensò su due volte, quindi decise di prendere le scale subito vicino alla sua porta. Gli scalini erano bagnaticci e scivolosi, e il tizio si ritrovò a cadere per due volte. Arrivato al secondo piano vide uscire altre persone, e all’interno di tutti i loro appartamenti, poco prima che i proprietari chiudessero le porte, vide la stessa scena, che casualmente aveva notato anche sul terrazzo di casa, mentre fumava. Una luce bianca, non si sa bene di cosa, lampeggiava ripetutamente. La stranezza era che in ogni appartamento se ne poteva trovare una. Il tizio rifletté qualche secondo su ciò che potesse essere, ma quando sembrava vicino alla risposta qualcosa lo bloccava: le porte venivano chiuse. Pensò di tornare in casa per vedere se anche lui aveva qualcosa che potesse ripetere la medesima scena, ma il fiume di persone che arrivava dai piani superiori lo spostava sempre più verso il pian terreno. L’uscita era ormai a qualche metro, quando iniziò a chiedere alle persone cosa stava accadendo. Nessuno lo ascoltava, ma tutti continuavano a chiedere aiuto.

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La voglia di salire in casa era ormai svanita, quindi con decisione si spostò verso l’uscita per dirigersi sulla strada adiacente, ormai ricolma di persone. Era praticamente sotto l’arco della porta di uscita quando una forte voce, che proveniva da alcune casse poste ai lati delle strade, iniziò a chiedere silenzio. Sembrava di essere catapultati in un film di fantascienza. Le persone in preda al panico, la notte cupa accompagnata da pioggia incessante e sempre più potente, strade deserte, e poi quella voce. “Non preoccupatevi, tutto tornerà alla normalità entro pochi minuti”. Il messaggio sembrava ripetersi come le luci negli appartamenti. Il tizio era sempre più confuso ed ebbe la sensazione di vivere in un brutto incubo. Come se non bastasse il caos che si era creato in quei pochi minuti, ora anche dal celo si potevano intravedere aerei militari sfrecciare e rilasciare una strana polvere grigiastra. Prima uno, poi due ed infine una dozzina di aerei arrivarono nei cieli bui della città. Il tizio si mise a correre per trovare un rifugio, anche se non era ben cosciente da cosa stava scappando. Le sirene delle pattuglie del vicino distretto accesero i loro lampeggianti e iniziarono a sfrecciare lungo le strade. Tutto era confusionario e senza senso, almeno per il tizio.

Un brivido lo attraversò, sembrava quasi colto da una improvvisa voglia di dormire. Le sue gambe iniziarono a tremare, e il sudore continuava a colare incessantemente sul suo viso. Si aggrappò prima ad un palo della luce, che però cedette al suo peso, quasi fosse marcito con la pioggia che veniva giù. Provo a chiedere aiuto, ma la massa di persone che lo circondavano sembrava essere interessata a tutt’altro. Tutti guardavano in alto, imprecando e chiedendo aiuto. Il tizio si accasciò per un istante a terra, lontano dagli scarponi delle persone in fuga. Gli occhi iniziarono a socchiudersi lentamente, anche se cercava in tutti i modi di rimanere quanto più sveglio possibile. La polvere grigiastra degli aerei sembrò avere su di lui un effetto quasi ipnotico. Più questa scendeva dal cielo e più la sensazione di sonno si annidava nel suo cervello. La luce bianca che si ripeteva tornò a farsi viva, questa volta però aveva assunto un colore di poco diverso, oltre che un intensità maggiore. Con le mani provò a toccarla, perché la vedeva avvicinarsi sempre di più, ma non riuscì a sentire nulla. Vuoto. Un silenzio molto rumoroso ebbe la meglio, ed in un attimo cadde nell’oscurità del sonno.

Un sogno fece compagnia al tizio durante il suo profondo sonno. Vide nuovamente la luce, poi sentì la voce proveniente dai megafoni, le urla delle persone, la pioggia incessante che gli colava sulle mani, ma anche un odore intenso di bruciato, molto simile a quello di una sigaretta. Il sogno sembrava ripetere all’infinito ciò che gli era accaduto nel corso di quella strana serata. Uno, due, tre volte, poi anche al contrario. Le immagini erano sempre circondate da un alone bianco che le rendeva pure e infinite. Il timore non cessò di restare nella sua mente, che ora era ricolma di messaggi fuorvianti e senza senso. Più il tempo passava e più il sogno andava veloce. Un rumore lo fece sobbalzare. Era famigliare, gli sembrava di averlo ascoltato in tutta la sua vita, ma non si ricordava bene in quale contesto avvenisse. Ne era sicuro, quel suono rappresentava per lui la salvezza e doveva raggiungerlo. Gli occhi iniziarono ad aprirsi, sempre circondati da una luce biancastra che gli rendeva le immagini circostanti opache. Finalmente iniziò a capire ciò che stava accadendo.

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Il tizio, incredulo, iniziò a guardarsi introno. Ancora un po’ assonnato vide che il buio era ancora presente, ma qualcosa lo illuminava rendendolo debole e quasi impercettibile. Le voci delle persone divennero perfettamente comprensibili, oltre al sudore che ancora era presente sul volto e sulle mani. Il suolo sul quale si era accasciato era morbido e profumato. La fragranza richiamava qualcosa di famigliare, proprio come il suono che aveva sentito mentre sognava. Il sonno svaniva ogni secondo di più, e di conseguenza la sua coscienza prese a riconoscere l’ambiente in cui si trovava. Con un sorriso ripensò a ciò che aveva vissuto nei minuti precedenti. Era tutto finito. La televisione accesa nella stanza gli fece capire che le voci provenivano proprio da li. Poco prima stava guardando una partita di calcio, e i tifosi in festa la accompagnavano con cori e schiamazzi vari. I telecronisti, nel sogno, avevano fatto la parte della misteriosa voce dal megafono. La pioggia che sentiva non era altro che il ventilatore di nuova generazione, acquistato da qualche giorno per il grande caldo di inizio estate. Spruzzava goccioline di acqua fredda per dare un senso di freschezza ancora più marcato. La luce bianca che vide per tutto il sogno era il proprio computer che continuava ad aggiornare la pagina Internet sulla quale si trovava. Mentre l’odore di bruciato era la sigaretta che stava fumando poc’anzi, che ormai era del tutto terminata. Si era semplicemente addormentato sul divano, dopo aver scoperto che il sito dove andava sempre era fuori uso.

Ora però era salvo. Il rumore dei messaggi e delle notifiche lo tranquillizzarono. L’apocalisse era finita. Facebook era tornato online.

 

***Questo articolo (- ‘romanzo’) nasce dall’idea di rappresentare uno dei problemi psicologici più frequenti degli ultimi anni. Tutto è nato qualche giorno fa, esattamente il 3 settembre scorso, quando Facebook è andato offline per qualche minuto e le persone si sono rifugiate nei meandri della rete in cerca di altri social network. E’ un disagio che sta prendendo sempre più piede, soprattutto nei più giovani. Ho cercato di rappresentare nel migliori dei modi quella che potrebbe essere la vicenda di un giovane alle prese con questa ‘fobia’. Introno a lui ho voluto creare un clima ostile e cupo per dare la sensazione di ciò che in realtà si prova durante il blackout dei siti online. Come avrete potuto leggere, la situazione è sempre più critica se a questo problema si fanno meno cose più importanti come la stanchezza, presente nel primo caso all’inizio del pezzo, oppure come il dare da mangiare al proprio figlio appena nato, come nel secondo caso, ma anche come l’istruzione, il terzo caso. Lo studio delle emozioni e sensazioni è stato portato avanti da me medesimo durante alcune ricerche fatte in questi giorni, non solo in rete, ma anche grazie ad alcuni contatti che ho voluto mettere sotto la lente d’ingrandimento. Il pezzo è volto a spingere le persone nella riflessione in relazione a tali fatti.

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